Siobhan Roberts
Il re dello spazio infinito
Rizzoli 2006, pp. 560, euro 22,00
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Tutti noi ci siamo imbattuti nella geometria a scuola, e in effetti il nome di Euclide ci suona relativamente più familiare di quello di Carneade. Abbiamo anche una certa idea della geometria, con tutti quei disegni pieni di triangoli, cerchi, e righe tirate qua e là apparentemente a caso. Poi magari capita che qualcuno vada a studiare matematica all’università e scopra che quella che viene chiamata “geometria” è qualcosa di completamente diverso, addirittura spesso senza nemmeno un disegno o un diagramma. Non c’è dubbio che si possa rimanere un po’ sconcertati!
In effetti la geometria come era stata studiata e sistematizzata dai Greci rimase la regina della matematica per due millenni, nonostante Cartesio con la geometria analitica le avesse dato un duro colpo. Ancora nel XVIII e XIX secolo furono dimostrati numerosissimi nuovi teoremi, ma i suoi giorni d’oro stavano per finire. Un po’ per la scoperta delle geometrie non euclidee che la scalzavano dalla sua posizione di Verità Assoluta che ancora Kant era pronto ad assegnarle, ma soprattutto per la sistematizzazione della matematica che riduceva tutto prima all’aritmetica e poi alla logica, imponendo un’astrazione che cozzava con l’aspetto “terra terra” della geometria (già il nome stesso significa “misurazione della terra”, il che è tutto dire). Nel corso del XX secolo, la geometria classica ha quindi ridotto la sua importanza fin quasi a svanire. Il “quasi” è dovuto a una singola persona, H.S.M. Coxeter, per gli amici Donald, cui è dedicata questa biografia.
Coxeter è stato un matematico eccentrico anche per gli standard della categoria. Morto a 96 anni, ha partecipato al suo ultimo convegno matematico come relatore a Budapest l’anno prima di morire; la sua carriera accademica, dopo le borse di dottorato, si è svolta unicamente all’università di Toronto; e il suo campo di studi è stato per l’appunto una battaglia di retroguardia, dove per vari decenni si trovò da solo contro l’establishment matematico dell’epoca. La Roberts racconta la sua vita, partendo da quando, bambino prodigio, si divideva tra il pianoforte e l’invenzione di una lingua immaginaria descritta in un quaderno di 126 pagine ordinatamente riempite, per arrivare appunto alla sua ultima apparizione in pubblico; il tutto passando tra le sue prime scoperte nel campo della geometria, al suo modo di vita peculiare – oltre a essere vegetariano, alla soglia dei novant’anni faceva ancora cinquanta flessioni al giorno “per mantenersi in forma” – e alle sue relazioni con personaggi del calibro di Mauritz Escher, Douglas Hofstadter e Buckminster Fuller.
Il libro è sicuramente frutto di una ricerca molto accurata, basti pensare che le note occupano più di cento pagine e la bibliografia quasi trenta; il risultato finale non rispecchia però le aspettative. La biografia infatti procede a salti, senza seguire un ordine cronologico e soffermandosi su una serie di aneddoti di scarsa se non nulla importanza, mentre glissa su punti che potrebbero risultare interessanti come l’impegno pacifista di Coxeter e il suo approccio alla religione – il suo breve flirt con l’Unitarianismo è relegato in una nota, ma sembrerebbe solo la punta di un iceberg. Ma anche l’appassionato di matematica si trova a disagio: è difficile capire quale sia stato davvero il contributo di Donald alla geometria, dato che generalmente l’autrice si limita a citare i libri da lui scritti. Nell’unico caso in cui si avventura a dare una spiegazione matematica, quando vengono illustrati i diagrammi di Coxeter, il risultato è francamente incomprensibile se non si conosce già di cosa si sta parlando. È vero che non è banale parlare di geometria a più di tre dimensioni, ma forse uno sforzo maggiore avrebbe permesso di avvicinare di più il lettore all’opera di questo grande ingegno, e contribuire così a mantenere viva la fiammella della geometria classica.