Alzheimer, Parkinson, Sclerosi Laterale Amiotrofica (Sla), tutte malattie neurodegenerative, accomunate solitamente da un decorso progressivo che si palesa solo quando il danno al paziente è già in fase avanzata, impedendone interventi terapeutici efficaci. Per questo i risultati dello studio sul Parkinson, pubblicati su Journal of Clinical Investigation, aprendo a nuove terapie per il trattamento della malattia sono una piccola vittoria in campo scientifico. Anche se parliamo ancora di studi sui ratti.
Il Parkinson è una malattia neurodegenerativa, a evoluzione lenta ma progressiva, caratterizzata dall’accumulo di alfa-sinucleina (una proteina che può formare aggregati proteici insolubili come i corpi di Lewy nei neuroni) e dall’insufficiente formazione di dopamina. La malattia appartiene al gruppo delle patologie note come “Disordini del Movimento”, coinvolge infatti principalmente funzioni motorie e di equilibrio. Colpisce soprattutto gli over 60 (tra i malati gli under 50 sono 1 su 10) e maggiormente gli uomini. Secondo le stime della European Parkinson’s Disesase Association ne sono affetti circa 6,3 milioni di persone (poco meno dell’1% della popolazione mondiale).
La ricerca di nuovi trattementi è continua, e coinvolge diversi aspetti e strategie. Una di queste ha a che fare con l’alfa-sinucleina, come spiega Timothy Greenamyre, direttore del Pittsburgh Institute for Neurodegenerative Diseases e tra gli autori del paper su Pnas: “I nostri dati mostrano che mitocondri (alterati nel Parkinson, nda) e alfa-sinucleina possono interagire in modo dannoso nelle cellule vulnerabili, per cui colpire questa proteina potrebbe rappresentare un’efficace strategia di trattamento”. Per questo, nel loro studio, i ricercatori hanno tentato di impedire lo sviluppo del Parkinson nei ratti, intervenendo sulla produzione di alfa-sinucleina, attraverso un approccio di terapia genica.
Gli scienziati hanno infatti utilizzato un virus – innocuo – per trasportare nei neuroni i geni per bloccare la produzione della alfa-sinucleina nella sostanza nera del cervello, dove sono presenti le cellule che producono la dopamina che si perdono con il Parkinson. Successivamente gli scienziati hanno esposto i ratti al rotenone, un insetticida che induce negli animali sintomi simili a quelli osservati nelle persone affette da Parkinson, come problemi di movimento, accumulo di alfa-sinucleina e corpi di Lewy, la perdita dei neuroni dopaminergici, e alterazioni mitocondriali (il rotenone ne inibisce la funzione).
L’approccio di terapia genica adottato dagli esperti si è mostrato capace di inibire la comparsa di questi sintomi, cosa invece che non accadeva negli animali esposti all’insetticida e che non avevano ricevuto terapia o che aveva ricevuto solo il virus di controllo (che non inibisce cioè la produzione della proteina).
Il prossimo passo ora, concludono gli autori, sarà quello di svelare i meccanismi che permettono all’alfa-sinucleina di influenzare la funzione mitocondriale nell’ottica di sviluppare farmaci che possano interferire nel meccanismo. Nella speranza, un giorno, di traferire strategie per la riduzione di questa proteina negli esseri umani.
Riferimenti: The Journal of Clinical Investigation DOI: 10.1172/JCI64502
Credits immagine: mark Miller/Flickr CC