L’INVALSI in terza media: valutiamo la scuola o l’alunno?

Nel corso del convegno “Ricordando Daniela Furlan. Riflessioni sul fare scienze a scuola” (Spinea, 17 – 19 giugno 2015) Paolo Mazzoli, Direttore generale dell’Invalsi, l’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema educativo di Istruzione e di formazione, si è confrontato con i docenti partecipanti sul sistema di valutazione della scuola italiana, raccogliendo critiche e suggerimenti e rispondendo ad alcune domande. Le risposte alla terza domanda (mentre qui quelle alla prima: A cosa servono davvero i test INVALSI e alla seconda: Cosa indicano i dati raccolti con i teest INVALSI?)

di Paolo Mazzoli

3. Perché i test Invalsi fanno media con le altre prove negli esami di Stato? Ciò crea confusione sulla loro natura e funzione: valutazione delle scuole (tramite alcuni esiti di apprendimento) o valutazione degli esiti di apprendimento dei singoli allievi? Non è più utile il confronto tra i due risultati?

È vero. La prova Invalsi nell’Esame di terza media è l’unica prova «bivalente»: valuta il sistema e, allo stesso tempo, l’alunno.

La norma di legge che ha introdotto la prova nazionale Invalsi nell’esame di terza media risale al 2007. La motivazione storica che ne danno i protagonisti di allora (Governo Prodi, Ministro Fioroni) è questa: malgrado le controindicazioni teoriche, è necessario inserire una prova standardizzata e comparabile nell’Esame di Stato a presidio delle competenze essenziali di cittadinanza (competenza linguistica e matematica di base). In molti ambienti la questione è dibattuta (comitato scientifico nazionale per l’accompagnamento delle Indicazioni nazionali, Fondazione Agnelli, Associazioni professionali, sindacati, ecc.) tanto che si è arrivati ad inserire nel ddl “Buona scuola” una specifica delega al Governo. Dunque si tratta di una domanda particolarmente fondata.

Tradizionalmente, gli esami di licenza media vengono svolti da una commissione interna, tranne il presidente, che giudica i propri allievi adottando criteri stabiliti in proprio. Questa prova risponde all’esigenza di capire se a tredici anni sono state acquisite alcune competenze importanti, tra cui quelle essenziali di cittadinanza. E la comunità nazionale è molto sensibile al fatto che i ragazzi possiedano, come requisiti per esercitare cittadinanza attiva, una buona conoscenze della lingua italiana e della matematica. Infatti non si può accettare che dopo otto anni di scuola, di fronte ad una formulazione, o una rappresentazione, o un ragionamento matematico, un ragazzo di tredici anni non sappia dove mettere le mani o non riesca a capire niente. (Ad esempio di fronte alla frase: “a parità di potenza impegnata l’utente paga in proporzione all’energia elettrica consumata” un gran numero di adulti ha notevoli difficoltà di comprensione).

Anche secondo me sarebbe più sensato proporre le prove Invalsi in altri momenti dell’anno; comunque le richieste per cambiare questa norma devono venire anche dalla scuola e dall’opinione pubblica. Il legislatore dovrebbe essere spinto a proporre un esame finale di licenza media senza prove Invalsi e, in un altro momento, una sessione di prove Invalsi simili a quelle che oggi inseriamo nell’esame (e che potranno presto essere corrette in modo automatico). Si possono poi confrontare proficuamente i due tipi di valutazione, quella proposta dagli insegnanti e correlata al percorso scolastico e quella “standardizzata” che riguarda alcuni importanti traguardi da raggiungere.

A livello nazionale, le prove Invalsi mettono in evidenza il fatto che, anche a parità di voto di ammissione, l’effettiva padronanza nel dominio di alcuni strumenti matematici è molto diversa. Il confronto tra le due valutazioni dà spesso dei risultati imprevisti; e talvolta è molto più severo il giudizio che viene fuori dalla prova standardizzata. A me interessano entrambi i giudizi: sapere come il ragazzo viene valutato dai suoi docenti (e questo è un giudizio relativo al percorso svolto) e sapere anche, come genitore e come cittadino, a che punto il ragazzo è arrivato (e questo è un giudizio assoluto).

Sarebbe bene, però, mettere in discussione anche altre caratteristiche dell’esame di terza media: per esempio, è insensato che il voto di ammissione pesi soltanto un settimo rispetto agli altri voti, mentre alla maturità pesa un quarto; semmai dovrebbe essere il contrario.

Come dicevo nella legge sulla “Buona Scuola” è stata infatti inserita una delega al governo per cambiare l’esame di Stato. Da quanto mi risulta il Ministero cercherà di riequilibrare il peso del voto di ammissione con quello dei voti riportati negli scritti e negli orali e rimandare ad un altro momento la prova Invalsi che però resterebbe obbligatoria. In questo in modo non dovrebbe più esserci confusione tra il giudizio relativo al percorso dell’alunno e il giudizio che, pur riferito all’alunno, riguarda la qualità dell’apprendimento di sistema. Sarebbe interessante anche capire cosa succede nel tempo, confrontando la situazione attuale con quella precedente.

invalsi

Confronti come quello riportato in figura (nella quale ogni rombetto nero rappresenta una classe e le sue coordinate sono, rispettivamente, in ascisse il voto medio dato dai docenti, in ordinate il voto medio Invalsi; si vede bene che alcune classi hanno circa 4 nella prova Invalsi e circa 6 come voto
scolastico mentre per altre i punteggi sono più vicini), relativi ai risultati ottenuti dalle classi di una scuola, sono a disposizione della scuola che può utilizzarli in modo appropriato in quanto conosce sia la storia delle classi (delle quali magari sono noti alcuni incidenti di percorso) sia i criteri con cui il consiglio di classe ha dato i voti. Confrontando situazioni in cui, ad esempio, il punteggio Invalsi è basso mentre il voto scolastico è alto, la scuola può ricalibrare i suoi interventi. A livello centrale, invece, le correlazioni sono oggetto di riflessione ma non avrebbe molto senso rendere pubblici questi dati, proprio perché non si conoscono le caratteristiche delle singole situazioni. I dati raccolti permettono di fare confronti statisticamente attendibili, di proiettarsi su un contesto più ampio e guardare con maggiore consapevolezza l’intero sistema scuola, senza fidarsi solo del buon senso o delle esperienze personali.

(3-segue)

 Credits immagine: Giacomo Carena/Flickr CC

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