Appena 92 milioni di euro in investimenti locali per coprire tutte le aree di ricerca. 900 milioni di euro spesi per contribuire al settimo Programma Quadro, di cui ne sono rientrati solo 600. E poco più dell’1,25% del prodotto interno lordo investito in ricerca e sviluppo, il che ci colloca agli ultimi posti dei paesi Oecd. Cifre che, purtroppo, parlano chiaro: l’Italia sta trascurando gravemente la ricerca di base, il che porta i nostri migliori scienziati a trasferirsi all’estero e ci fa perdere competitività rispetto agli altri Stati membri. È per questa ragione che Giorgio Parisi – fisico teorico della Sapienza Università di Roma, medaglia Dirac 1999, medaglia Boltzmann 1992, uno degli scienziati più importanti al mondo – ha appena pubblicato una lettera sulla rivista Nature e una petizione su Change.org “per invitare l’Unione Europea a fare pressione sui governi perché mantengano i finanziamenti alla ricerca oltre il ‘livello di sussistenza’”, unico modo per assicurare che “gli scienziati di tutta Europa, e non solo quelli di Regno Unito, Scandinavia e Germania possano competere per i finanziamenti Horizon 2020”.
Professor Parisi, qual è lo stato attuale dei finanziamenti alla ricerca in Italia?
In Europa, i fondi per la ricerca sono erogati dalla Commissione Europea e dai governi nazionali: la prima finanzia soprattutto grandi progetti internazionali di collaborazione, spesso in area di ricerca applicata; i secondi finanziano invece programmi scientifici su scala più piccola, operati “dal basso”. E per entrambi, purtroppo, non ci sono buone notizie. Dal 2008 a oggi, i fondi stanziati dal governo italiano per il finanziamento universitario sono diminuiti del 20% (a inflazione costante). Si tratta, per la maggior parte, di denaro utilizzato per pagare gli stipendi dei ricercatori e dei professori universitari: i tagli hanno bloccato il turnover e ci hanno fatto perdere 10mila posti di lavoro (tra docenti andati in pensione e non sostituiti e ricercatori emigrati all’estero). I fondi per i Prin (Progetti rilevanti di interesse nazionale) si sono ridotti, in media, di un terzo: quest’anno ammontano appena a 92 milioni di euro, da destinare a tutte le aree di ricerca. Per capire la gravità della situazione, basti pensare che il bilancio annuale dell’Agenzia della ricerca scientifica francese, corrispondente ai Prin italiani, si attesta su un miliardo di euro l’anno. Analogo discorso per quanto riguarda i fondi europei: nel periodo 2007-2013 l’Italia ha contribuito al settimo programma quadro per un ammontare di 900 milioni di euro l’anno; ne sono rientrati solo 600. L’incapacità del governo di alimentare la ricerca di base ha causato una perdita di 300 milioni di euro per la scienza italiana e quindi per l’Italia.
Quali sono le conseguenze di questo scenario?
Oltre alla perdita di soldi, ci stiamo facendo sfuggire i nostri migliori ricercatori, non riusciamo a rimpiazzare i docenti che vanno in pensione, non attraiamo ricercatori dall’estero e perdiamo di competitività rispetto agli altri paesi europei. In breve, l’Italia non è un paese amichevole per i ricercatori. La diminuzione dei finanziamenti nazionali, che dovrebbero servire per pagare gli stipendi di ricercatori e professori universitari, fa sì che si debbano coprire queste spese con i fondi europei, che invece dovrebbero essere utilizzati per l’acquisto di attrezzature e per l’allestimento di laboratori. L’aspetto più paradossale è che i nostri scienziati sono molto brillanti: gran parte dei finanziamenti europei viene assegnata, effettivamente, a ricercatori italiani. Che però vivono e lavorano all’estero: i fondi, dunque, non rientrano in Italia. Due aneddoti emblematici: nel 2007 c’è stato un concorso per 7 posti da ricercatore in meccanica statistica al Cnrs francese. 4 dei vincitori erano italiani. La commissione stessa era composta, per la maggior parte, da scienziati italiani. In un altro concorso per una cattedra di fisica teorica a Londra, sono stati ammessi alle selezioni finali 6 candidati su 40. Tutti e 6 erano italiani. Cervelli – e soldi – che però si guardano bene dal restare in Italia.
Quali sono le sue richieste?
Nella lettera pubblicata su Nature – firmata, oltre a me, da altri 68 scienziati, tra cui Giovanni Ciccotti, Duccio Fanelli, Vincenzo Fiorentini e Stefano Ruffo – chiediamo che l’Unione Europea faccia pressione sul governo italiano perché rispetti gli impegni presi con la firma del Trattato di Lisbona nel 2007. In quell’occasione, tutti gli stati firmatari garantirono, entro il 2010, di investire almeno il 3% del prodotto interno lordo in ricerca scientifica, per assicurare l’omogeneizzazione delle politiche di ricerca e sviluppo in Europa. L’Italia, al momento, investe poco più di un terzo rispetto a quanto promesso: per sollecitare un intervento dell’Unione Europea e un impegno del governo italiano, abbiamo pubblicato una petizione su Change.org che vi invitiamo a firmare e condividere il più possibile.
Via: Wired.it