Per affrancare dalle difficoltà di lettura i ragazzi dislessici, la nuova frontiera della medicina potrebbe essere la stimolazione cerebrale. Diciannove partecipanti di età compresa tra i 10 e i 17 anni, affetti dalla dislessia, il disturbo di apprendimento che in Italia colpisce circa il % dei bambini in età scolare, sono stati divisi in due gruppi, uno per il trattamento attivo, l’altro per il placebo. Ai primi è stata praticata la Stimolazione Transcranica a Corrente Diretta (tDCS), una procedura non invasiva e completamente indolore con passaggio di corrente a basso voltaggio da un dispositivo mobile, già impiegata per la terapia dell’epilessia focale o della depressione. È questa la tecnica sperimentata dai ricercatori di Neuropsichiatria Infantile dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù in collaborazione con il Laboratorio di Stimolazione Cerebrale della Fondazione Santa Lucia. I risultati pubblicati sulla rivista Restorative, Neurology and Neuroscience hanno evidenziato un potenziamento delle capacità cognitive del primo gruppo, passando da 0,5 a 0,8 sillabe lette al secondo. Le competenze acquisite si sono dimostrate stabili anche dopo un mese dall’ultima seduta. Viceversa, coloro che sono stati sottoposti al trattamento placebo non hanno mostrato miglioramenti significativi. Ma da dove nasce lo studio? Quali sono le reali possibilità di applicazione? Me abbiamo parlato con Deny Menghini, psicologa dell’Unità di Neuropsichiatria Infantile dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, coordinatrice dello studio.
Dottoressa Menghini da dove nasce la sperimentazione?
“Studi precedenti sui dislessici hanno dimostrato che alcune regioni cerebrali sono attive in misura ridotta rispetto ai normolettori e che a seguito della terapia logopedica al miglioramento delle abilità di lettura corrispondeva una normalizzazione dell’attività cerebrale delle aree generalmente ipoattive. Abbiamo voluto quindi agire direttamente sulle alterazioni cerebrali che caratterizzano la dislessia avviando un trattamento mirato a modificarle, partendo dai risultati incoraggianti che avevamo ottenuto in precedenza su un gruppo di adulti con dislessia. La stimolazione cerebrale viene comunque utilizzata in età evolutiva con altri disturbi dello sviluppo e per problemi comportamentali e emotivi”.
Di che tipo di stimolazioni parliamo?
“I protocolli finora utilizzati sia a fini clinici che di ricerca non superano i 60 minuti e generalmente la stimolazione ha una durata massima di 20-30 minuti. Più che prolungare la stimolazione nel tempo, si potrebbero pianificare protocolli con stimolazioni più frequenti, per esempio a cadenza quotidiana, che possano portare ad un effetto cumulativo e quindi più forte e duraturo. Inoltre i protocolli eventualmente impiegabili per uso domestico devono essere sempre verificati e monitorati da personale specializzato. Sebbene i risultati ottenuti sono incoraggianti è necessario essere sempre cauti nell’utilizzo della stimolazione cerebrale non invasiva, che deve rispettare rigide regole di sicurezza. Al momento sono disponibili dispositivi portatili e wireless che rendono l’utilizzo dello strumento pratico e particolarmente adatto ad essere abbinato ad altre attività terapeutiche. Il suo utilizzo però non può prescindere da un’attenta supervisione specialistica”.
Come hanno reagito i ragazzi coinvolti nella sperimentazione ai miglioramenti ottenuti?
“I ragazzi che hanno partecipato alla sperimentazione sono stati molto collaborativi e hanno mostrato entusiasmo durante ogni fase del trattamento. Anche le loro famiglie sono state molto disponibili e positive rispetto allo svolgimento della sperimentazione. Alla fine della stimolazione la reazione dei ragazzi e delle loro famiglie è stata ancora più positiva perché coronata dalla soddisfazione che l’impegno riposto ha portato buoni risultati e un importante contributo alla ricerca”.
Quale sarà il prossimo step?
“Il prossimo passo sarà ottimizzare il protocollo, testando possibili alternative per poter trasferire la conoscenza alla pratica clinica. In ogni caso l’efficacia dimostrata dal trattamento con tDCS nella dislessia non implica l’abbandono dei sistemi di intervento finora utilizzati ma propone la tDCS come un sistema utile a ottimizzare l’effetto dei trattamenti classici nell’aiutare un bambino o ragazzo con dislessia a migliorar le proprie capacità di lettura e di apprendimento”.
Articolo prodotto in collaborazione con il Master Sgp della Sapienza Università di Roma