Per confermare una diagnosi di Parkinson può bastare una risonanza magnetica. La malattia può infatti essere rivelata in base alla mancanza di contrasto delle immagini, dovuta alla minore presenza di neuromelanina, cioè dei neuroni che producono dopamina, la cui perdita è caratteristica della malattia di Parkinson. La conferma dell’efficacia della nuova metodologia, semplice e rapida, arriva da un team dell’Istituto di tecnologie biomediche del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Itb) di Segrate-Milano coordinato da Luigi Zecca e Fabio Zucca ed è frutto di una collaborazione con il Dipartimento di Psichiatria del Columbia University Medical Center di New York.
La perdita di sostanza nera
La malattia di Parkinson è caratterizzata dalla degenerazione cronica e progressiva delle strutture nervose, in particolare in un’area del sistema nervoso centrale detta sostanza nera. Qui si produce la dopamina, un neurotrasmettitore che facilita i movimenti volontari del corpo agendo su apposite cellule recettrici presenti nel nucleo striato. Alla riduzione per numero e dimensioni delle cellule nervose della sostanza nera è legata la difficoltà di movimento di chi sviluppa la mattia.
“Nei neuroni della sostanza nera del cervello umano che producono dopamina si accumula una sostanza chiamata neuromelanina”, spiega Zecca. Numerosi studi eseguiti con immagini di risonanza magnetica (Rm o Mri) avevano rilevato una riduzione del contrasto nella zona della sostanza nera. “Finora, però”, va avanti il ricercatore, “non avevamo la certezza che la riduzione di contrasto fosse dovuto alla perdita dei neuroni e della neuromelanina in questa zona del cervello”.
Un nuovo marcatore per la diagnosi di Parkinson
Questo fatto è stato ora dimostrato da uno studio pubblicato da Zecca e colleghi su Proceedings of the National Academy of Sciences. “Il metodo di risonanza magnetica della neuromelanina è stato verificato mediante correlazione con il rilascio di dopamina osservato nelle immagini della tomografia ad emissioni di positroni (Pet)”, spiega il ricercatore. Inoltre è stato convalidato con misure del flusso sanguigno, utilizzando immagini di risonanza magnetica funzionale (fMri) nella zona in cui ci sono i neuroni della dopamina”, prosegue Zecca. “Questa procedura di risonanza magnetica della neuromelanina può quindi essere considerata come un nuovo metodo per confermare la diagnosi di Parkinson”.
Diagnosi precoce anche per le psicosi?
Oltre ad agevolare la diagnosi di Parkinson, la nuova metodologia potrà essere utilizzata per ricerche su altre patologie neurologiche e psichiatriche in cui sia presente un’alterata attività della dopamina. “Abbiamo impiegato le immagini di risonanza magnetica della neuromelanina per studiare pazienti con schizofrenia e soggetti con elevato rischio per le psicosi, usando sempre come confronto la Pet e la fMri”, conclude Zecca. “In questi casi abbiamo osservato che il segnale delle immagini di risonanza magnetica della neuromelanina è correlato alla gravità delle psicosi nella schizofrenia e nei soggetti a rischio di schizofrenia. Questo suggerisce che il metodo possa diventare un marcatore del rischio per le psicosi, prima della comparsa di una manifesta schizofrenia”. Grazie alla nuova metodologia, non-invasiva e rapida da eseguire con una strumentazione – la risonanza magnetica a 3 Tesla – disponibile in molti ospedali, queste persone potrebbero così beneficiare di un trattamento tempestivo con farmaci antidopaminergici.
Fonte: ‘Neuromelanin-sensitive MRI as a noninvasive proxy measure of dopamine function in the human brain (18 February 2019) Pnas
No, secondo uno studio recentyissimo di Nature sullo stato psicofisico dei malati, la risonanza si deve accompagnare a un riconoscimento dei “nervosismi che causano la diminuzione della risposta del cervello, che confonde gli stimoli”. Non c’è depressione, nella maggioranza, ma solo voglia di vivere nascosta e il limite della gente è conpromettere la stabilità della persona con parole inadeguate, in diagnosi già terribili.