Isaac Newton amava paragonarsi ad un bambino che passeggia sulla spiaggia e raccoglie le conchiglie che gli appaiono più belle,mentre l’immenso Oceano giace ignoto dinanzi a lui. E’ una metafora dellascienza in generale, ma possiamo adattarla in particolare al mestiere deicosmologi. I bambini, si sa, guardano al mondo con occhi ingenui e liberida pregiudizi, e formulano spesso ipotesi originali. Il destino della cosmologia è simile: scienza giovanissima, soffre della mancanza di dati sperimentali dettagliati, ma proprio per questo gode di una grande libertà nella formulazione dei modelli: per molti aspetti la cosmologia è una disciplina amante del nuovo, dell’imprevisto, del sorprendente.
E’ vero che spesso le scoperte cruciali della scienza stravolgono la nostra concezione del mondo: si pensi alla teoria dell’evoluzione delle specie, alla meccanica quantistica, alla relatività einsteiniana, alla psicanalisi. Però la cosmologia, più di tutte le discipline, sembra avere una predilezione per le rivoluzioni concettuali. Da Tolemeo a Copernico, da Copernico ad Einstein, da Einstein al Big Bang, alla teoria dell’inflazione, alla gravità quantistica: i cosmologi non sembrano voler procedere per miglioramenti e generalizzazioni successive dei modelli, ma attraverso un incessante sovvertimento dell’ordine scientifico costituito. Così il genere umano si èvisto costretto dapprima a negare alla Terra il titolo di fulcro del creato,poi ad accettare l’idea di un Universo curvo, che non vive immerso in unospazio ed un tempo assoluti. Infine Edwin Hubble, con la scoperta dell’allontanamentodelle galassie, ha inflitto il colpo di grazia al postulato inconscio cheda sempre era alla base di ogni cosmologia: la rassicurante, eterna immobilitàdell’Universo.
Non solo l’Universo, come diceva Einstein, è curvo”come uno strano mollusco”, ma ha anche, come un mollusco, una vita propria: una data di nascita, una giovinezza in cui si agita, espandendosi o contraendosi, una vecchiaia e una morte. Non sembra restare che una certezza:se l’Universo non ha un centro, non è eterno, non è immobile, perlomeno è tutto ciò che esiste. Non può non essereunico. I molti universi della cosmologia. Eppure, negli ultimi anni, un’ideastrana ha fatto la sua comparsa nella mente di molti fisici: forse non uno,ma tanti Universi sono quelli che la scienza deve studiare. Potrebbero esisterealtri mondi, paralleli a quello a noi conosciuto: forse infiniti, forsecon leggi fisiche diverse dalle nostre.
Questi mondi “esterni”fanno capolino nelle teorie più diverse: la Relatività Generalescopre al suo interno eleganti soluzioni in cui regioni diverse e lontanissimedell’Universo (parallele, appunto), vengono connesse con strani cavi; laMeccanica Quantistica, secondo molti studiosi, non può trovare unacoerenza interna se non postulando una rete di infiniti Universi in continuabiforcazione; l’astrofisico Dennis Sciama, che abbiamo intervistato, proponedi assumere l’esistenza di tutti gli Universi logicamente possibili; infine,i più recenti sviluppi della teoria dell’inflazione, dovuti principalmentead Andrei Linde, conducono necessariamente all’esistenza di un Universoramificato che, da sempre e per sempre, fabbrica bolle destinate a diventarealtri Universi, a loro volta costruttori di Universi. Una caratteristicainteressantissima e rivoluzionaria, comune a molti dei modelli che prevedonoaltri mondi, è il fatto che tali universi non sono osservabili sperimentalmente:la loro esistenza è una mera conseguenza dell’apparato logico o matematicodella teoria.
Strana, inquietante, eretica idea, apparentemente in conflittocon una sacra convinzione di ogni scienziato: che tutto ciò che nonappartiene al nostro mondo fisico, tutto ciò che non può essereosservato né misurato, non debba entrare nell’ambito della scienza.Secondo molti fisici, gli infiniti universi previsti da molte teorie sono”di troppo” e troppi. Di troppo perché non osservabili,e quindi metafisici. Troppi perché infiniti, perciò scomodie ingombranti dal punto di vista del principio del Rasoio di Occam: frapiù teorie concorrenti a descrivere un fenomeno, si deve sceglierequella che necessita del numero minimo di ipotesi, postulati o enti nonspiegati. Il dibattito è accesissimo e composito, perché inoltresi tratta di teorie diverse che si riferiscono ai “molti universi”secondo accezioni del tutto differenti. Ad ogni modo, sia che questi universivivano solo nell’iperuranio delle idee logico-matematiche, sia che esistano,invisibili a noi, nel mondo fisico, sembra che dovremo abituarci all’ideadi non vivere nel migliore dei mondi possibili, e neppure nell’unico esistente.
Eccovi allora una prima guida turistica alla rete delle reti degli universi.Non basterebbe certo a consolare Leibniz, ma forse può alleviareun poco il senso di disorientamento di noi lettori comuni… Buchi neri,macchine del tempo e tazze da tè. Non c’è appassionato di fantascienza che non sappia come trasferirsi in un Universo parallelo: basta tuffarsi, con qualche precauzione, in un buco nero. In effetti i fisicistessi amano servirsi, per immaginare lo spazio-tempo curvo della RelativitàGenerale, della metafora di un grande lenzuolo, che viene deformato o persino”strappato” dalla presenza di grandi masse. Cosa succede dentroi buchi del lenzuolo, nelle singolarità dello spazio-tempo che sicreano quando troppa materia si affolla in poco spazio? Inizialmente, iricercatori guardavano con sarcasmo ai facili entusiasmi degli scrittoridi fantascienza. Un buco nero non sembrava affatto una tappa confortevoleper i turisti interstellari. Una volta entrati nel buco, niente poteva salvaregli incauti curiosi dalla corsa verso un destino infelice: le forze gravitazionaliall’interno del buco nero sono intensissime, e tanto diverse da punto apunto che gli oggetti vengono rapidamente disintegrati, smembrati atomoad atomo e particella a particella! Nessuno sarebbe in grado di sfuggireall’attrazione del buco nero. Esiste una sorta di linea di confine, fral’interno e l’esterno del buco, che gli astrofisici chiamano orizzonte.E’ una regione definita matematicamente, del tutto invisibile per un osservatorefisico. Eppure, è della massima importanza, perché rappresentail punto di non ritorno al di là del quale accade un fatto assolutamentesorprendente: lo spazio ed il tempo scambiano i propri ruoli. Fintantochésiamo al qua dell’orizzonte, possiamo decidere se avvicinarci o allontanarcidal buco nero manovrando i motori dell’astronave; ma appena superato ilconfine questo diventa impossibile: la linea che congiunge noi con il centrodel buco nero non è più una direzione dello spazio, attraversola quale siamo liberi di muoverci, ma il tempo stesso. Piombare verso l’abissodiviene, nel senso più letterale della parola, il fato, il nostroinevitabile futuro!
Nonostante ciò, la cosmologia ha presto riaccesole speranze dei fans di Asimov, e superato le loro più ardite fantasie.Oggi, nei modelli dei fisici teorici, esistono wormholes di ogni tipo: sortadi tunnel nello spazio-tempo, queste “tane di lombrico” permettonodi collegare un buco nero con un altro. In questo modo il continuum quadri dimensionale(il lenzuolo fatto di spazio e tempo), non presenta più singolarità:non ci sono più voragini senza fondo, ma gallerie al cui internosi possono avere forze gravitazionali ridotte. I wormholes allora possonofungere da collegamento fra due regioni dell’Universo lontanissime e deltutto irraggiungibili altrimenti, due “universi paralleli”. Prendiamoun foglio rettangolare di carta, e facciamo un segno su ciascuno dei suoidue lati estremi. E’ la nostra mappa rudimentale di un Universo possibile. Immaginiamo che i due segni rappresentino rispettivamente casa nostra e la stella Aster pulcherrimum, meta del viaggio dei nostri sogni di sempre.Un ostacolo soltanto si frappone fra noi e la vacanza agognata: i due segnidistano fra loro la lunghezza del foglio, diciamo un miliardo di anni luce.Anche il più intraprendente ed evoluto degli autostoppisti galatticisarebbe spaventato da un viaggio simile. Ma proviamo a piegare a metàla mappa: i due segni, che “sulla carta” sono separati sempreda un miliardo di anni luce, “in linea d’aria” appaiono vicinissimi.Ecco balenarci in mente l’idea subdola per truffare lo spazio-tempo: sesolo si potesse fare un tubicino, un ponticello a cavallo fra le due metàdel foglio piegato, avremmo una scorciatoia geniale… La RelativitàGenerale non proibisce affatto l’esistenza di questi tunnel: lo spazio-tempoviene curvato da ogni massa e da ogni sorgente di energia, e se siamo abbastanzaabili da disporre gli oggetti nella maniera giusta, nulla vieta di plasmareil lenzuolo nella forma desiderata. Gli astrofisici devono confessare che quello che succede è esattamente quanto previsto dal modello standard della fantascienza: lo spazio-tempo quadridimensionale si curva nella quinta dimensione, e apre un varco nell’ “iperspazio”!
Ma c’èdi più. Iwormholes non sono tunnel spaziali, ma deformazioni dell’interospazio-tempo: possono connettere tanto regioni spaziali diverse, quantoregioni vicine dell’Universo in istanti diversi. Prendete ancora in manoil foglio di poco fa. Se immaginate ora che la linea che congiunge i duesegni agli estremi non rappresenti una distanza bensì un tempo, allorail wormhole che congiunge i due punti non è più una scorciatoiaper raggiungere un posto lontano un miliardo di anni luce, ma un modo perpassare in un luogo vicinissimo nello spazio, ma assai distante nel tempo.Molti fisici hanno mostrato la possibilità teorica di costruire deiwormholes che funzionino come macchine per viaggiare nel tempo. E’ stupefacentecome nel formalismo della teoria nulla sembri proibire a priori questa possibilità.L’unico vero ostacolo è la nostra incapacità di superare i paradossi che i viaggi nel tempo comportano: se davvero posso tornare all’epoca della mia infanzia, quello che incontrerò è un altro me stesso? Oppure tornerò nel mio corpo di bambino? E se è così,perché non ricordo ora, da adulto, di aver già fatto il viaggio?E se invece viaggiassi indietro fino all’epoca dell’infanzia dei miei genitori,potrei davvero impedire che si conoscano, oppure il mio libero arbitriosarebbe ostacolato nel farlo? Il principio di causa-effetto sembra essere messo in serio pericolo dall’esistenza di queste strane traiettorie spazio-temporali,che congiungono futuro e passato di una particella o di una persona. Molti perciò stanno cercando di dimostrare l’impossibilità fisica dell’esistenza delle macchine del tempo. Altri, più tranquillamente,la postulano. Ma ci sono ricercatori convinti che sia possibile realizzareun giorno tunnel temporali in laboratorio, o che almeno possano esisterein alcune regioni dell’Universo. Secondo loro, non ci sono problemi concettualiinsormontabili, perché le uniche traiettorie fisicamente esistentisarebbero quelle “auto-consistenti”, cioè che non violanoi rapporti di causa-effetto e non danno adito a paradossi. Chi si gettada una torre, non può fare a meno di piombare al suolo, neppure desiderandoardentemente il contrario. Eppure, nessuno si sentirebbe menomato del proprio libero arbitrio per il fatto che esiste la legge di Gravitazione Universale.In maniera analoga, secondo alcuni sostenitori dell’esistenza delle macchinedel tempo, il libero arbitrio non sarebbe sminuito dal fatto che le unicheazioni reali sono quelle “auto-consistenti”.
E’ presto per direchi abbia ragione, e se questi oggetti fantastici esistano nel nostro Universo:ancora non siamo sperimentalmente certi neppure dell’esistenza dei buchineri. Certo è che la geometria dell’Universo non è quellasemplice di un oggetto compatto, come la sfera perfetta che immaginava Parmenide,ma può essere molto complessa. Per dirla con i topologi, l’Universopuò essere “molteplicemente connesso”, ovvero dotato diuna rete di collegamenti fra le varie regioni, un po’ come una tazza datè con tanti manici. Botti piene, mogli ubriache e gatti sfortunati:i tanti mondi della Meccanica Quantistica. Ma esistono, nel grande giardino zoologico delle teorie scientifiche, modelli persino più misteriosi,che prevedono non soltanto un Universo pervaso da una rete di connessioni,ma una struttura ramificata di infiniti Universi indipendenti. Un caso celebre è quello dell’interpretazione a “molti mondi” della meccanica quantistica. Le teorie quantistiche sono afflitte da sempre da profondiproblemi concettuali irrisolti. Il più drammatico, forse, èil problema della misura. Lo stato di un sistema non è noto finchénon viene “misurato” da un apparecchio. Questa banalitàdella vita di tutti i giorni diventa, per i fisici quantistici, un’autenticatragedia. Provate a prendere una manciata di particelle e lanciarle controun muro che abbia due sottili fenditure. Al di là del muro metteteun foglio di carta che si macchi quando una particella lo urta. Poi tenete d’occhio le fenditure, per vedere in quale delle due passa ogni particella:troverete, ovviamente, che quelle che passano per la fenditura a sinistra vanno a macchiare la carta sul lato sinistro, e viceversa accade con quelle che passano per la fenditura destra. Ma provate adesso a non controllare da quale fenditura siano passate le particelle; limitatevi a guardare le macchie sulla carta: per quanto assurdo, incomprensibile vi possa sembrare,non appariranno più una macchia a sinistra e una a destra, ma tutta una serie di macchie scure disposte ovunque! La conclusione è semplicee terribile: non osservare quale percorso segua una particella non significasemplicemente non conoscerlo, ma proprio che tale percorso non esiste !Se non c’è nessuno strumento di misura lungo il percorso, la particellanon passa né per la fenditura sinistra né per quella destra(altrimenti macchierebbe la carta o a sinistra o a destra); invece, la particellavive una sorta di vita sdoppiata, una sovrapposizione delle due situazioniche si mescolano, interferendo come farebbero le increspature sulla superficiedi uno stagno in cui gettiamo due sassolini.
Einstein, che pure fu fra iprimi artefici, insieme a Max Planck e Niels Bohr, della Meccanica Quantistica,rifiutò sempre questa conclusione. Egli non dubitava che l’atto dell’osservazionefisica mutasse la realtà e perturbasse il sistema in osservazione.Ma mai avrebbe accettato l’idea che la realtà dovesse essere determinatada un osservatore esterno, che essa potesse vivere un tale stato di esistenza”sospesa” in attesa della misura. Schroedinger rese il problemain tutta la sua drammaticità col celebre paradosso del gatto. Unoscienziato crudele chiude un gattino in una camera a gas. Il rubinetto delgas è collegato ad un meccanismo che si apre solo se la particellalanciata contro il muro passa per la fenditura sinistra. Se lo scienziatonon si affaccia alla finestra della camera, o se non ha collegato un campanellocol rubinetto del gas, non può sapere se il gattino è vivoo morto. Ma la Meccanica Quantistica ci dice di più e di peggio:che il gatto, fino a che il controllo non sarà avvenuto in qualchemodo, non è né vivo né morto, ma permane indefinitamentenella sovrapposizione dei due stati! Per chi è disposto ad accettare questo come un dato di fatto, una legge di natura, non c’è paradosso. Ma resta inspiegabile il fatto che, quando noi facciamo l’osservazione,il gatto effettivamente è o vivo o morto: se ogni atomo del gatto si trovava nei due stati, se la luce che arriva ai miei occhi, di conseguenza, è anch’essa in una sovrapposizione dei due stati, com’è possibile che la mia coscienza “decida”, inequivocabilmente e irreversibilmente,per una delle due alternative? Ecco il grande paradosso della meccanica quantistica: se tutto ciò che esiste è fatto di particelle elementari, e se ogni particella obbedisce alle leggi quantistiche, allora tutto è in una sovrapposizione di stati, compresa la nostra mente.Nessuna misura è possibile. Il dilemma dell’osservatore: oggettomacroscopico, mente cosciente o difetto della teoria?
Secondo Einstein,Louis De Broglie, David Bohm, John Bell e altri grandi fisici teorici, larealtà esterna esiste in maniera oggettiva ed indipendente dallapresenza di strumenti di misura o osservatori. La Meccanica Quantisticaè una teoria provvisoria, incompleta perché non tiene contodi tutte le variabili in gioco nel mondo elementare. Sono state proposte molte teorie, che tengano conto di queste “variabili nascoste”,per descrivere il mondo fisico in maniera oggettiva. Ma tutte si scontranocon un problema cruciale. John Bell ha dimostrato che qualunque teoria avariabili nascoste deve affrontare una tragica scelta: essere in disaccordocon le previsioni della Meccanica Quantistica (finora verificate sperimentalmentecon una precisione mai vista nella storia della scienza), oppure abbandonarel’idea più cara ad Einstein stesso, quella dell’impossibilitàdi trasmettere segnali istantanei a distanza. Insomma, se vogliamo che ilmondo abbia realtà oggettiva, dobbiamo rassegnarci a descriverlocon una teoria complicatissima, che cerca di mimare meglio possibile laMeccanica Quantistica, oppure dobbiamo ammettere l’esistenza di quella cheEinstein definiva una raccapricciante, fantasmatica azione istantanea adistanza. In realtà, il club delle variabili nascoste, per quantoeminenti siano i suoi fondatori, è sostenuto da una minoranza deifisici teorici. La maggior parte dei ricercatori sostiene che in realtàla teoria è adatta a descrivere soltanto il mondo microscopico: glioggetti macroscopici non obbediscono alla Meccanica Quantistica e, di conseguenza,si trovano in uno stato ben definito indipendentemente dalla presenza diuno strumento di misura. Ma è molto difficile immaginare un meccanismoche spieghi come faccia un corpo composto di atomi a violare quelle leggiche gli atomi devono seguire.
Altri fisici celebri, come Eugene Wigner,hanno trovato come inevitabile la conclusione che l’unico “oggetto”che possa sfuggire alla legge quantistica ed effettuare le misure è la mente, la coscienza dell’osservatore. Ma, a meno di non andare ad impegolarsi in questioni teologiche sulla natura dell’anima, è molto difficile definire operativamente cosa sia la coscienza, come possa alterare i sistemi fisici e chi ne sia provvisto: gli esseri umani? Le scimmie? I gatti? I lombrichi? I virus?…. Altri studiosi, più concretamente, hanno proposto di modificare le equazioni della Meccanica Quantistica in maniera tale che un sistema viva la sua misteriosa sovrapposizione solo per pochi istanti. Dopodiché, una delle possibilità si avvera definitivamente,indipendentemente dalla conoscenza dell’osservatore. E’ un’ipotesi interessante,ma si scontra con grandissime difficoltà matematiche: la teoria quantistica,se deve essere coerente con i principi della Relatività Speciale(cioè se accettiamo l’idea che è impossibile la comunicazione istantanea fra luoghi lontani), sembra non tollerare correzioni. La rete democratica degli infiniti universi: asilo politico a tutte le scelte…
Per ironia della sorte, l’interpretazione che sembra più inverosimile è l’unica che non si scontra con paradossi logici, non porta a incoerenze matematiche, non è in conflitto con i dati sperimentali. E’ l’ipotesi più eretica e, naturalmente, quella che più piace ai cosmologi.L’idea è semplice e fu proposta da Hugh Everett III nel 1957: non c’è bisogno di osservatori, non c’è bisogno di strumenti di misura, né di modificare le equazioni per evitare la sovrapposizione.Basta semplicemente accettare il dato di fatto: tutte le alternative possibili,che si vengono a creare innumerevoli in ogni istante (particella a destra o a sinistra, gatto vivo o morto, ecc.), si avverano. Ma ognuna in un Universo diverso. Così, nel momento in cui l’oste decide cosa fare del suo vino, l’Universo si ramifica in due Universi assolutamente identici: con l’unica differenza che in uno esiste una botte di vino piena in più, nell’altro l’oste ha la moglie ubriaca. Quando lo scienziato controlla seil gatto è vivo o morto, effettivamente non percepisce alcuna sovrapposizione fra gli stati: osserva immancabilmente che una delle due possibilità si è avverata. Ma questo, secondo Everett, non avviene perché lo stato del sistema sia stato trasformato dall’atto dell’osservazione.Nessun apparato di misura e nessuna coscienza hanno operato per scegliere quale alternativa avverare: semplicemente, esiste un Universo dove uno scienziatoha visto un gatto vivo, e un Universo dove il gatto è stato trovato morto. Per i cosmologi è una delle alternative più interessanti,perché chi studia l’Universo in toto non può ammettere l’esigenzadi uno strumento di misura esterno ad esso o di un osservatore che fornisca realtà definita alle prime fasi di vita del cosmo. Ma molti fisiciribattono che l’interpretazione di Everett è una falsa spiegazione,utile più agli scrittori di fantascienza che agli scienziati, perché ci costringe ad ipotizzare infiniti altri universi inosservabili, necessari solo per rendere conto delle alternative che non si realizzano nel nostro cosmo.
Paul Davies afferma che la teoria dei molti mondi è economica in postulati, ma sovrabbondante in Universi. John Bell dichiarò in un’intervista di considerare l’interpretazione a molti universi non coerente:gli sembrava un’idea approssimativa, scribacchiata in mezz’ora sul retro di una busta, piuttosto che una teoria fisica compiuta. John Wheeler, che pure ha contribuito molto a sviluppare le idee di Everett, oggi confessa che sente ancora “troppo bagaglio metafisico” nell’interpretazione a molti mondi. D’altra parte, altri celebri studiosi sono convinti non solodella validità della proposta, ma anche che essa sia effettivamente verificabile sperimentalmente, nonostante l’inosservabilità degli altri universi. David Deutsch ha lavorato a fondo sulle idee di Everette Wheeler: è convinto che la loro sia l’interpretazione coerente più semplice possibile per la Meccanica Quantistica, con il vantaggio supplementare di non aver bisogno di trattare l’osservatore come un ente speciale. Ma soprattutto, Deutsch ha notato alcune piccole differenze di base rispetto alla Meccanica Quantistica tradizionale. Secondo lui, quella di Everett non sarebbe una mera interpretazione della teoria quantistica,ma un modello a sé, dotato di previsioni in qualche misura diverse e perciò sperimentalmente verificabili o falsificabili. Infatti,se la teoria dei molti mondi è corretta, allora non è affatto la coscienza di un osservatore ciò che determina la scomparsa della sovrapposizione degli stati. Anzi, tale sovrapposizione esiste sempre, magli oggetti macroscopici “sdoppiano” le proprie esistenze in ciascuno degli universi ramificati. Se invece la teoria quantistica ortodossa ha ragione, inevitabilmente l’atto di misura distrugge tutte le altre possibilità virtuali. C’è un modo, sostiene Deutsch, per scoprire cosa effettivamente accade. Quale? Semplice a dirsi, un po’ meno a farsi: dato che, secondo a teoria ortodossa, dove c’è coscienza non ci può essere sovrapposizione, l’unica maniera per rivelare indirettamente l’esistenza di altri mondi “sovrapposti” sarebbe disporre di un sistema che,pur trovandosi in una sovrapposizione di stati, possieda conoscenza e coscienza di essi. L’unico oggetto che conosciamo dotato di coscienza è la mente, che tuttavia è macroscopica… Ci vorrebbe una mente quantistica,un computer elettronico dotato di coscienza di sé! Posto in una situazione di sovrapposizione di stati, questo fisico al silicio percepirebbe in qualche modo l’esistenza degli universi paralleli e ce la potrebbe raccontare. Purtroppo,anche il dibattito sulla possibilità dell’Intelligenza Artificiale è lontano dall’approdare ad una conclusione, cosicché non sappiamo se l’esperimento sia solo rimandato ai futuri ricercatori o se invece sia destinato a restare nel grande albo delle proposte stravaganti dei fisici teorici. I problemi del Big Bang.
Lasciando i teorici quantisticiai loro dilemmi, diamo un’occhiata anche ai problemi che i cosmologi devonorisolvere per proprio conto. Il modello cosmologico standard, basato sull’ipotesidel Big Bang, ha avuto un successo straordinario perché èriuscito a spiegare i due fatti osservativi fondamentali dell’astrofisica:l’allontanamento delle galassie (dovuto all’espansione dell’Universo a partireda uno stato di altissima densità e temperatura) e la radiazionedi fondo cosmico a 3 Kelvin (che altro non è che la temperatura uniformedel cosmo dopo il raffreddamento dovuto all’espansione). Ma se la teoriaè in ottimo accordo con questi dati osservativi, lascia irrisoltemolte questioni fondamentali. Racconteremo qui solo due dei problemi cheaffliggono il modello standard: quello dell’omogeneità ed isotropiadell’Universo e quello della sua “piattezza”. Basteranno per rendersiconto dell’incompletezza della teoria del Big Bang classica. Un mondo telepatico?Immaginate di aver condotto il seguente esperimento sulla telepatia umana:avete bussato alle 100 stanze di un albergo e chiesto agli ospiti di parteciparead un gioco. A ciascuno avete dato un foglio bianco e una tavolozza da pittore:egli deve “inventare” un colore, mescendo a piacere quelli dellatavolozza, e tingerne il foglio. Voi chiudete i cento volontari nelle propriestanze, tornate mezz’ora dopo a ritirare i fogli, li incollate a formareun grande telo. Esistono decine di migliaia di tonalità cromatichepossibili, perciò vi aspettate di ottenere una bellissima scacchieraad abito di Arlecchino. Invece… sorpresa: non solo i cento sono riuscitia scegliere tutti gli stessi colori, ma hanno persino preparato la stessaidentica sfumatura di azzurro, al punto che le diverse parti del telo sonoassolutamente indistinguibili! Non vi restano che due conclusioni: o tuttii partecipanti sono dotati di eccellenti virtù telepatiche, oppuresono riusciti a trovare il trucco per telefonarsi e vi hanno giocato unoscherzo maligno.
Questa è esattamente la cospirazione che l’Universoprimordiale sembra essere stato in grado di compiere, per la disperazionedei cosmologi: osservando il fondo di radiazione cosmica a microonde, siscopre che l’Universo, circa 100.000 anni dopo il Big Bang, aveva ovunquela stessa temperatura, con una precisione di oltre una parte su 10.000.A prima vista, non ci vediamo niente di strano: chi lascia per 100.000 anniun bicchiere di acqua calda su un tavolo, poi non si dovrebbe meravigliaredi trovare che tutte le gocce d’acqua del bicchiere hanno la stessa temperatura.Il fatto però è che l’Universo si espande, e le sue varieparti non sempre sono in contatto fra loro come le gocce d’acqua del bicchiere:in uno spazio-tempo in espansione ci sono zone che non possono mai avercomunicato, dall’origine dei tempi; neppure tramite segnali luminosi, ipiù veloci che esistono. Ad esempio, se guardiamo la radiazione difondo in due direzioni opposte del cielo (cioè che formano un angolodi 180°), stiamo osservando dei fotoni che arrivano a noi, per la primavolta, e che sono partiti una decina di miliardi di anni fa da due zoneopposte del cosmo: essi dovranno viaggiare altri dieci miliardi di anniprima di raggiungere ciascuno la culla dove è nato l’altro! Perciò,per il modello standard, l’estrema omogeneità ed isotropia dellaradiazione di fondo (cioè il fatto che la radiazione sia identicain tutti i punti e in tutte le direzioni) rappresenta una coincidenza miracolosa.Una “mira” incredibile. Un altro dato sperimentale che appare,se interpretato secondo il modello standard, come una stupefacente coincidenza,è il fenomeno della “piattezza” dell’Universo. Se tiriamoun sasso diritto in verticale, ci ricadrà in testa poco dopo. Mase lo lanciamo con molta energia, il sasso schizzerà via, sfuggitoall’attrazione della Terra, e proseguirà diritto per sempre. Unasituazione almeno pittoricamente simile si ha col Big Bang. Tutta la materiaviene lanciata, all’istante iniziale, in tutte le direzioni: se il “lancio”è sufficiente, ovvero se non c’è troppa materia iniziale,l’Universo continuerà per sempre la sua espansione, fino a diventarecompletamente “piatto” (ovvero con una densità di materiapraticamente nulla). Se invece la densità di materia supera un certovalore critico, l’Universo è destinato a raggiungere un’espansionemassima per poi ricadere su se stesso, verso stati di densità semprecrescente: è il Big Crunch. L’ultima delle lettere greche èadattissima ad indicare il parametro che decide del destino finale del cosmo:i fisici indicano con Omega il rapporto fra la densità di materiadell’Universo e la densità critica. Se Omega >1 l’Universo nonpotrà che ricollassare; se invece Omega1 l’espansione continueràper sempre.
Un’altra metafora, comoda per i nostri scopi, è questa:immaginate di dare un colpo col dito alla pallina di un pendolo. Se l’impulsoiniziale è piccolo, la pallina sale fino ad una quota massima perpoi ricadere e oscillare. Se invece l’impulso supera un certo valore disoglia, la pallina riuscirà a compiere il giro completo. Ovviamente,è praticamente impossibile dare alla pallina proprio l’impulso critico,quello che fa da confine fra i due casi. Immaginate perciò qualesarebbe il vostro stupore se, dopo il colpettino iniziale, vi accorgestedi aver impresso un impulso tanto ben calibrato che la pallina, dopo interedecine di minuti, ancora non è ridiscesa per cominciare ad oscillare,né ha oltrepassato il culmine per compiere un giro completo, ma continuaa salire, sempre più lentamente e sempre più vicina alla sommità.Con l’Universo sembra essere successo qualcosa di analogo: se la densitàdi materia inizialmente fosse stata superiore, anche impercettibilmente,a quella critica, allora l’Universo avrebbe dovuto piombare nel Big Crunchgià dopo pochissimi miliardesimi di miliardesimi di secondo. Se invecela densità iniziale fosse stata, se pure di un soffio, piùpiccola di quella critica, allora l’Universo si sarebbe dovuto espanderead una velocità tanto folle da diventare in un istante un desertobuio e ghiacciato, dove la formazione delle stelle è impossibile.Invece noi viviamo in un cosmo che ha almeno una decina di miliardi di annid’età, che non accenna a piombare nel Big Crunch, e che tuttaviaè tanto caldo da permettere la nostra vita. Sembra quasi che la quantitàdi materia presente nell’Universo sia stata calibrata atomo per atomo alsolo scopo di non farlo collassare né raffreddare troppo in fretta.La probabilità di generare un Universo con un valore iniziale delladensità tanto precisamente calibrato è praticamente zero:Dio, per scegliere condizioni iniziali tanto speciali, ha dovuto fare unosforzo davvero sovrumano… Inflazione caotica: una rete di universi inogni bollicina. Insomma, se la teoria del Big Bang è in grado dispiegare i più importanti fatti osservativi della cosmologia, e nonsi trova in netto contrasto con alcun dato sperimentale, tuttavia lasciairrisolte alcune questioni fondamentali ed è costretta ad accettarealcuni dati come delle coincidenze davvero misteriose. Per uscire dal dilemmadobbiamo appellarci al Principio Antropico Forte (ovvero all’idea che lecostanti fisiche sono tanto ben calibrate proprio allo scopo di permetterel’esistenza umana), o ricorrere alla presenza di un abilissimo orologiaiocosmico. La teoria dell’inflazione fornisce uno strumento di eccezionaleefficacia per risolvere alcuni fra i problemi del modello standard.
L’ingredientebase del modello è l’ipotesi che l’Universo abbia attraversato unabrevissima fase di espansione accelerata esponenziale. Gli effetti collateralidi questo stadio “super-esplosivo” sono molteplici. Innanzitutto,non ha più ragion d’essere il paradosso dell’omogeneità: tuttol’Universo che osserviamo oggi non deriva affatto da migliaia di regioniun tempo sconnesse, ma è il frutto dell’espansione poderosa di un’unica,microscopica, gocciolina dell’Universo primordiale. I cento ospiti del nostroalbergo non hanno sfruttato né la telepatia né il telefono.Ben più furbi, ci hanno dato un lenzuolo che non era il collage deiloro cento fogli, ma uno solo di essi, stiracchiato e dilatato fino alledimensioni giuste. Naturalmente, dilatare un foglio milioni, miliardi omigliaia di miliardi di volte significa anche smussarne ogni asperità:l’Universo, dopo un simile trattamento di lifting cosmico, conterràdavvero soltanto perturbazioni impercettibili. In una parola, saràpiatto: Omega avrà un valore praticamente unitario, non in virtùdi un’abilissima calibrazione, ma perché, dopo l’espansione inflazionaria,la materia presente inizialmente nell’Universo sarà enormemente diluita.
Ma com’è possibile che la materia in espansione, anziché rallentarea causa dell’attrazione gravitazionale, acceleri? Dovrebbero esistere particellestranissime che anziché attrarsi gravitazionalmente, si respingano.Non esiste una materia simile nell’Universo. Ma il vuoto, per strano chesia, è in grado di agire come nessun materiale può fare. Ancorauna volta la cosmologia si appropria dei risultati più spettacolaridella teoria quantistica: il vuoto non è più un palcoscenicodeserto che deve ospitare gli eventi fisici. E’ invece il pentolone ribollentedelle infinite particelle possibili: dotato di energia e massa, dovute alleconfigurazioni dei campi di forza fondamentali (elettromagnetico, debole,forte), può, a seconda delle circostanze, partorire ogni genere dioggetti elementari. Durante l’inflazione, l’energia immensa contenuta nellostato di “vuoto” del campo, anziché essere convertita inparticelle materiali, alimentava la creazione di spazio e costringeva l’Universoad un’espansione folle e accelerata. I primi tentativi di formulare unateoria inflazionaria sono dovuti ad Alan Guth ed Alexei Starobinskij, all’iniziodegli anni ‘80. Da allora, i modelli proposti si contano a centinaia: anchese i problemi da risolvere sono tanti e la teoria non ha trovato ancorala sua veste definitiva, l’inflazione viene ormai considerata un paradigmadi base per la cosmologia. Non è nostro scopo qui descrivere in dettaglioi meccanismi dei vari modelli. Ci interessa invece sottolineare come l’inflazione,nata per risolvere i problemi lasciati aperti dal modello standard, potrebbenon aver più bisogno del Big Bang. Non è più necessariopostulare che tutto abbia avuto inizio da un punto piccolissimo e caldissimo,perché il principio base dell’inflazione può da solo essereil motore di origine dell’Universo. O di molti Universi.
Recentemente AndreiLinde, ha mostrato come il meccanismo dell’espansione inflazionaria possainnescare la produzione incessante di infiniti, eterni universi. Supponiamoche l’universo non nasca a partire da uno stato uniforme, in cui il campoha ovunque lo stesso valore, bensì da una situazione “caotica”,con diversi valori, casuali, dell’energia in diverse regioni dello spazio.Allora, alcune regioni resteranno stabili, altre cominceranno ad espandersiesponenzialmente. Ma anche all’interno di queste bolle in espansione visaranno zone diverse: in alcune di esse, nuovamente, ci saranno le condizioniadatte per l’inflazione. Come in un gioco di scatole cinesi, l’Universodiventa presto un immensa rete frattale di bolle che si ramificano e siautoriproducono. Linde paragona questa rete cosmica ad un albero che dicontinuo produce nuovi rami. Alcuni di essi presto muoiono e cadono (sonogli Universi che scompaiono, “inghiottiti” da se stessi), altriproducono le mele (sono gli Universi in cui l’inflazione si ferma, comeil nostro). Ma la grande maggioranza dei rami continua a sviluppare nuovegemme. Di conseguenza, più tempo passa e maggiore è il numerodi universi esistenti. Se scegliamo a caso una delle infinite mele (cioèuno degli infiniti universi come il nostro), la probabilità che essoabbia un’età finita (cioè che si sia sviluppato nei pressidella radice dell’albero, quando ancora c’erano pochi rami) è praticamentezero. Perciò dobbiamo concludere che il nostro Universo esiste dasempre, minuscola bollicina in un universo di altre infinite bollicine,ognuna delle quali contiene regioni destinate a produrre nuovi mondi. Inquest’ottica, non ha più senso dire che l’Universo esiste da circa15 miliardi di anni, ma semplicemente che la nostra inflazione si èfermata 15 miliardi di anni fa.
Un’altra versione del modello vede i semidella creazione di universi inflazionari nei monopoli magnetici. I monopolimagnetici sono particelle elementari previste da molte teorie di campo unificate,dotati di una carica magnetica singola; una sorta micro-calamite con soloil polo nord o il sud. Ma non sono mai stati osservati sperimentalmente.Secondo uno dei modelli proposti da Linde la ragione potrebbe essere questa:ogni dominio inflazionario, cioè ogni piccola bolla destinata a partorireun intero Universo, contiene un solo monopolo. Per di più, il monopolostesso è il centro dell’espansione accelerata. L’effetto èche chi si trovasse al suo esterno vedrebbe il monopolo non come una particellaelementare ma come un buco nero carico magneticamente, e non si chiederebbecosa c’è al di là dell’orizzonte. Invece gli osservatori dentroil buco nero magnetico affermerebbero di trovarsi in un intero Universoin espansione inflazionaria. Non saprebbero affatto, è ovvio, diciò che esiste all’esterno del loro Universo, ma con ogni probabilitàpotrebbero scoprire, in qualche galassia, strani buchi neri carichi magneticamente.Di nuovo, il risultato è di quelli che causano vertigini a chi nonè abituato agli infiniti: una rete frattale, infinita ed eterna,di universi contenuti uno dentro l’altro, ciascuno ignaro dell’esistenzadi innumerevoli mondi esterni ed interni. Una rete (non infinita) di conclusioni.
Abbiamo visto come, a soddisfazione postuma di Giordano Bruno, nella fisicacontemporanea compaia sempre più di frequente, in ambiti disparati,l’esigenza concettuale o la possibilità matematica dell’esistenzadi una rete di universi. Nel caso dei wormholes si tratta di una strutturaramificata di connessioni spazio-temporali fra regioni lontane del nostrouniverso fisico. In altri casi si tratta invece di interi altri universi,in numero infinito. Secondo Dennis Sciama essi rappresentano una vera epropria necessità epistemologica: negare la loro esistenza èarbitrario, e ci causa l’imbarazzo di dover giustificare l’improbabile originedel nostro cosmo. Questi universi sarebbero realtà del tutto parallelealla nostra: è impossibile, per definizione, qualunque contatto frai diversi mondi. Anche la teoria dell’inflazione caotica conduce alla possibilitàdella creazione eterna di infiniti universi. In questo caso gli universicostituiscono una vera e propria rete frattale: ogni bolla ne partorisceinfinite altre. Tuttavia, anche ora si tratta di una rete cieca e muta:non possiamo vedere gli altri universi, né riceverne messaggi, perchéogni universo si allontana esponenzialmente dagli altri e la luce non riescea trasmettersi dall’uno all’altro. Anche gli infiniti mondi, necessari secondoHugh Everett a risolvere l’enigma della misura in Meccanica Quantistica,sono paralleli al nostro ed irraggiungibili fisicamente. Ma fra gli altrimondi e il nostro vi è in realtà un continuo intersecarsi,sovrapporsi e disgiungersi. E tale sovrapposizione, in futuro, potrebbeessere rivelata.
Ciò che è stupefacente notare è cometali teorie postulino o derivino l’esistenza di infiniti sistemi fisicia noi invisibili, a causa di enormi difficoltà pratiche o persinoper definizione. Tuttavia, per strano che appaia, la storia della scienzaè ricca di esempi che mostrano quanto sia utile assumere l’esistenzaoggettiva di enti non osservabili. Alla nascente teoria atomistica fu obiettatoche essa era metafisica, perché supponeva esistere oggetti che nessunoavrebbe potuto vedere né toccare. I quark sono intrinsecamente nonosservabili, se non per via indiretta, tramite altre particelle prodottedurante le collisioni. Eppure, nessun fisico sostiene che i quark sono unmero simbolo.
I geni dell’ereditarietà mendeliana, come pure i quantidi Planck, nacquero solo come enti concettuali adatti a spiegare certi fenomeniOggi, i primi abitano su concrete molecole di DNA, fotografate al microscopioin cento pose. I secondi esistono sotto forma di fotoni, con conseguenzealtrettanto tangibili nella vita di tutti i giorni: le cellule fotoelettrichedegli ascensori e i lettori CD, per prendere due esempi fra mille, non esisterebberose la luce fosse un’onda non quantizzata. La dicotomia fra le idee appartenentialla scienza e quelle pertinenti la metafisica non è netta come puòsembrare. Secondo alcuni, il criterio di distinzione fra le due classi potrebbenon essere semplicemente quello dettato da Popper, secondo cui soltantole ipotesi falsificabili sperimentalmente appartengono alla scienza. I cosmologilo sanno bene, sfortunati adepti di una scienza senza laboratori, senzaesperimenti ripetibili. Pochissimi i dati certi di cui dispone questa disciplinagiovane e difficile. In genere un modello scientifico ha lo scopo di prevedereil comportamento futuro di un sistema a partire da certe condizioni inizialiricostruibili ripetutamente in laboratorio. Al contrario, i cosmologi sonocostretti a ideare modelli che prevedano il passato: sapendo che ora l’Universoè come lo vediamo, quale poteva essere la sua struttura iniziale,e quali le leggi che ne regolarono l’evoluzione? Il mestiere del cosmologoè quello di costruire ipotesi, o spesso reti di ipotesi, per racchiuderetutti gli universi possibili compatibili con il poco che vediamo. Ma poila scelta di uno fra i modelli candidati si basa su principi di semplicità,di eleganza formale, di coerenza logica. Senza tenere troppo in conto laverificabilità sperimentale. La spiaggia del grande oceano immaginatoda Newton è percorsa oggi da schiere di bambini curiosi. Ma i cosmologia passeggio di notte sulla riva del mare, non vedono l’Oceano, néle conchiglie: sentono solo il rumore delle onde lontane, immaginano qualcosapercependo la sabbia sotto i piedi. Immersi nel buio, tutto ciò chepossono fare è inventare favole su cosa sia realmente l’Oceano. Ealcuni, seduti in cerchio sulla sabbia, raccontano con un sorriso malizioso,questa storia: “C’erano una volta, forse, tanti, tanti oceani …”
BIBLIOGRAFIA
Purtroppo, fatta eccezione per la meccanica quantistica, sucui fin troppo è stato scritto (qui citiamo soltanto la fonte dialcune delle citazioni riportate nel testo), esiste poco materiale a caratteredivulgativo sulle reti di universi.
Contrassegnamo con un asterisco (*)i lavori che presumono una conoscenza piuttosto approfondita della fisicae della matematica.
Inflazione ed inflazione caotica:
1) Andrei Linde, “Universiche si autoproducono” Le Scienze, maggio 1994
Meccanica quantistica ed interpretazione a molti universi:
2) P.C.W. Davies, R. Brown, The ghostin the atom, Ed. Italiana Il fantasma nell’atomo, Città Nuova editrice,Roma 1992.
3) Euan Squires, The mistery of the quantum world, Adam HilgerLtd, Bristol & Boston, 1986.
4) (*), ma alcuni articoli sono ottimi esempidi divulgazione per tutti: J. S. Bell, Speakable and Unspeakable in QuantumMechanics, Cambridge Univ. Press, 1987.
Wormholes e macchine del tempo:
5) (*) S.W. Hawking, “Wormholes in Spacetime”, Phys. Rev. D37,904; 1988.
Principio Antropico e infiniti universi:
6) J.D. Barrow, F.J.Tipler, The Anthropic Cosmological Principle, Oxford Univ. Press, 1986.
7) Dennis Sciama, “The Anthropic Principle and the Non-Uniqueness ofthe Universe”, in The Anthropic Principle, edited by F. Bertola & U.Curi, Cambridge Univ. Press, 1993.
8) Dennis Sciama, in Astrofisica e particelle,edizioni CUEN, Trieste 1995.
Le variabili sono infinite ma non producono nuovi universi, modificano uno stato in termini relativi.