L’ottimismo? Da 15 ai 70 è (per lo più) tutto un crescendo, poi però comincia a diminuire. Così almeno sostiene oggi uno studio che ha provato a misurare ottimismo (e pessimismo) nel corso del tempo, in particolare cercando di capire come questo cambiasse in risposta agli eventi della vita. Lo ha fatto su un grosso campione (oltre 70mila persone) e questo è quello che è emerso.
La premessa, infatti, è che l’ottimismo sia un aspetto sensibile agli eventi della vita, per quanto in piccola percentuale anche ereditabile, scrivono gli autori in apertura del paper. Eppure, sostengono gli esperti, non sono tante le evidenze in materia su come cambi in risposta agli eventi stessi, come un matrimonio, ma anche un divorzio, la morte di un caro, l’arrivo di un bambino, i problemi di salute, i successi a scuola o la perdita del lavoro. Perché l’assunzione, spiegano gli esperti, è che ci sono momenti o eventi che possono cambiare (comprensibilmente) il modo di guardare al futuro. È davvero così?
Per scoprirlo i ricercatori hanno messo insieme i dati provenienti da tre diversi studi (uno Usa, uno olandese e uno tedesco). In totale il campione analizzato superava le 70mila persone, di età variabili (dai 16 anni a oltre 100) e per le quali erano disponibili informazioni come il grado di ottimismo nel tempo (sondato tramite questionari) ed eventi di vita, come nascita e perdita di un figlio, la morte di un compagno o di una compagna, la separazione, trasferimenti, malattie o in generale cambiamenti nello stato di salute (tanto positivi che negativi).
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Quello che gli esperti hanno visto è che il livello di ottimismo, seppur con qualche grado di eterogeneità, sembrava per lo più aumentare fino alla giovane età adulta, raggiungeva dunque un plateaut e poi cominciava a scendere, come ha raccontato William Chopik della University State of Michigan, a capo dello studio: “Anche persone che erano passate attraverso brutte circostanze, che hanno avuto cose difficili da affrontare nelle loro vite, guardano al futuro e alla loro vita davanti e si sentono ottimisti”. In generale – e ovvio attendersi che non sia così per tutti – anche eventi come un lutto o un divorzio non modificano il modo delle persone di guardare al domani, a testimoniare una grande capacità di resilienza umana, continua Chopik. Più in generale, si legge nel paper, “gli eventi della vita sono collegati in maniera inconsistente a ottimismo e pessimismo”, e anzi a volte i cambiamenti che si possono osservare sono addirittura controintuitivi.
L’ottimismo? Un errore del cervello
Inoltre se per gran parte della vita, diciamo fin verso i 70, l’ottimismo pare aumentare – forse per un continuo guardare al domani, che caratterizza gli anni più attivi, quelli in cui si studia, si trova un lavoro, un partner, spiega l’autore – è con l’età anziana che le cose cambiano, magari con il sopraggiungere dei primi acciacchi e problemi di salute e la percezione che la gran parte della vita sia ormai passata.
Via: Wired.it
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Credits immagine di copertina: Ahmed Zayan on Unsplash