Nel 1947, con una legge per la sicurezza nazionale, il Congresso americano permette la fondazione di un organismo dalle misteriose ‘funzioni varie’ nella politica estera statunitense: la Central Intelligence Agency (Cia). Qualche anno dopo, un atto governativo chiarisce che con ‘funzioni varie’ occorre intendere spionaggio, propaganda clandestina, azioni sotto falso nome e operazioni paramilitari e quant’altro permette di intervenire nei processi decisionali di uno o più paesi stranieri. (p.32)
Francis Stonor Saunders, giornalista della rivista inglese The New Statesman, analizza come tra il 1947 e il 1967 la Cia interviene nel dibattito culturale americano ed europeo. Durante la guerra fredda, l’International Organisations Division (Iod) diviene il centro della Cia per le attività culturali. Nata per rispondere alle iniziative culturali dei sovietici e dei comunisti europei, l’Iod finanzia l’organizzazione del Congress for Cultural Freedom, che a sua volta promuove la libertà culturale del mondo occidentale contro il comunismo e il totalitarismo sovietico. Il Ccf si rivolge a intellettuali come Nicolas Nabokov, Arthur Koestler, Denis de Rougemont e Hannah Arendt e la sua attività consiste nell’organizzazione di attività culturali di vario genere: incontri letterari, riviste, mostre d’arte, concerti di musica classica, film e attività di ricerca per intellettuali esuli provenienti dai paesi del blocco sovietico.
Dal 1948 il principale collegamento tra Cia e Ccf è Michael Josselson, ex ufficiale americano incaricato degli affari culturali a Berlino durante la guerra. La Cia riceve finanziamenti a pioggia dai contribuenti americani e viene inoltre finanziata con il Piano Marshall, dato che il 5 per cento degli interessi sul credito riscosso dagli Stati europei finisce nelle casse dei servizi segreti. Josselson e i suoi colleghi danno questi soldi a una serie di fondazioni americane (Ford, Fairfield, Rockfeller) e queste a loro volta al Ccf cosicché la Cia non compare mai in alcun documento ufficiale come il ‘mecenate’ delle iniziative culturali del Ccf. 1984 e La Fattoria degli Animali di George Orwell divennero dei film grazie a questi soldi, anche se ovviamente la Cia raccomandò di cambiare il finale e rafforzare in senso antisovietico la trama orwelliana. (p.294)
Josselson si rivolge principalmente alla Non Communist Left (Ncl), ovvero un complesso di intellettuali di estrazione socialista che avevano in passato condiviso le battaglie ideologiche della sinistra, ma che delusi dalla svolta stalinista potevano scagliarsi contro l’Unione Sovietica e condannarne il rigore totalitario. La retorica e la propaganda della libertà culturale presto si diffonde in Italia e si concretizza nel finanziamento della rivista letteraria Tempo Presente edita da Ignazio Silone e Nicola Chiaromonte, che la Saunders individua come personaggi di spicco del Ccf e principali assegnatari dei finanziamenti destinati ad attività culturali della Cia in Italia. (p.215)
Per più di 20 anni le attività culturali finanziate dalla Cia orientano l’opinione degli intellettuali verso la Nato e sfruttano le crisi interne al blocco sovietico (Ungheria,1956) per rilanciare il ruolo trainante degli Stati Uniti nella vita politica degli stati europei. Il sistema entra in crisi nel momento in cui la politica interventista degli Stati Uniti (Vietnam,1957; Cuba,1961) inevitabilmente aliena l’opinione degli intellettuali europei. Nel 1967, la crisi diventa irreversibile: il giornale californiano Ramparts pubblica dettagli sul finanziamento segreto della rivista inglese Encounter da parte della Cia, sulle interferenze degli uomini della Cia nelle politiche editoriali della rivista e sul fatto che il suo direttore Melvin Lasky è un agente Cia. (p.382) L’affare Ramparts presto si trasforma per la Cia in una baia dei porci nel campo della cultura. Josselson viene dimesso e il Ccf viene chiuso, anche se la Cia sceglie la ‘linea dura’ solo per salvaguardare future ingerenze nel dibattito culturale e rilanciarle attraverso altri canali.
Analizzando archivi americani e inglesi e raccogliendo le testimonianze di alcuni fra i più importanti cold warriors nel campo della cultura, la Saunders getta luce sui metodi del mecenatismo americano e sulle pratiche del controllo degli intellettuali europei. La giornalista giustamente concentra l’attenzione sul paradosso interno al concetto di libertà culturale. La Cia indirettamente proponeva agli intellettuali di esaltare gli Stati Uniti come paladino di tale libertà, proprio mentre le sue ingerenze erano finalizzate a intaccarla e a impedire la critica della politica estera americana. Predicare libertà culturale e praticare (se necessario) la censura (p.321) diventa insomma la parola d’ordine negli ambienti Cia.
Il lavoro della Saunders permette di guardare con disillusione ai luoghi culturali in cui si produce il sostegno all’interventismo americano. Durante la guerra fredda, gli appelli alla difesa della democrazia contro la tirannide, della civiltà contro la barbarie, del coraggio americano contro la codardia, della verità contro la falsità (p.421) nascevano nelle azioni coperte dei servizi segreti americani piuttosto che nella riflessione autonoma degli intellettuali. Nei conflitti post-guerra fredda come la guerra in Afghanistan, l’idea di uno ‘scontro tra civiltà’, che ideologicamente nasce in quel genere di appelli, trova grande spazio in alcuni circoli intellettuali. Perché?
Il libro
Francis Stonor Saunders
The Cultural Cold War: The CIA and The World of Arts and Letters
The New Press, 2000
pp. 528, euro 19,43