Riportare in vita i mammut. Se ne parla da tempo ormai come una delle più grandi possibilità offerte dalla genetica, ma quanto siamo realmente vicini a farlo? Vicinissimi, secondo un gruppo di scienziati di Harvard, secondo cui tra soli due anni i mammut potrebbero fare la loro ricomparsa sulla Terra, 4 mila anni dopo il loro ultimo avvistamento. Come? Utilizzando il codice genetico degli elefanti asiatici, i loro “parenti” in vita più vicini, e una tecnica chiamata restaurazione del DNA.
“Il nostro scopo è quello di produrre un embrione ibrido tra elefante e mammut,” ha spiegato George Church, leader del progetto, parlando all’AAAS Annual Meeting a Boston, “Di fatto sarebbe un elefante con un certo numero di caratteristiche proprie del mammut.”
I mammut hanno vissuto in Europa, Asia, Africa e Nord America per un periodo di tempo che va tra il Pliocene, ossia circa 4,8 milioni di anni fa, fino a circa 4500 anni fa, quando si sono estinti, probabilmente a causa di una combinazione di cambiamenti climatici e caccia da parte degli esseri umani.
La tecnica usata dal team per modificare i geni si chiama CRISPR/Cas9. Diventata famosissima in tempi recenti, è stata introdotta nell’ingegneria genetica nel 2012, e grazie ad essa i ricercatori sono in grado di “copiare e incollare” parti di DNA, in questo caso provenienti da reperti di mammut conservati nel permafrost artico, all’interno delle cellule staminali degli elefanti con estrema precisione. Una volta perfezionato il procedimento, gli scienziati intendono rimpiazzare il nucleo di un ovulo di elefante con quello di un mammut geneticamente programmato. Secondo Church, il team sarà pronto a procedere con l’esperimento tra circa 2 anni. Test di laboratorio hanno già mostrato che le cellule contenenti parti di entrambi i DNA sembrano funzionare normalmente.
Fino ad ora, i ricercatori sono riusciti ad identificare diverse aree del DNA degli elefanti, 45 in particolare, che influenzano la dimensione delle loro orecchie, la quantità di massa grassa e peli e la resistenza al freddo del sangue. Molte altre caratteristiche saranno studiate nei prossimi mesi, nella speranza di poter contribuire a realizzare un esemplare di elefante che possa vivere in ambienti estremamente freddi. L’embrione sarà poi cresciuto in un utero artificiale.
Tuttavia, il progetto è stato ripetutamente criticato da diversi gruppi per la conservazione degli animali, secondo cui potrebbe distogliere l’attenzione dagli sforzi per proteggere le specie che ancora non si sono estinte. Church ha però sottolineato che il progetto in realtà non è così estraneo agli sforzi di conservazione animali. Scopi del progetto sono infatti anche quelli di assicurare un futuro alternativo per l’elefante asiatico, al momento in pericolo d’estinzione, e aiutare a combattere il surriscaldamento globale.
Modificare geneticamente gli elefanti per farli resistere meglio al freddo avrebbe infatti il vantaggio di permettere loro di vivere in un territorio più ampio, allo stesso tempo la presenza dei mammut potrebbe rallentare lo scioglimento del permafrost nella tundra, diminuendo la quantità dei gas serra rilasciati nell’atmosfera.
Riferimenti: AAAS 2017 Annual Meeting