Una terapia genica potrebbe aiutare a combattere la beta talassemia – o anemia mediterranea -, una malattia genetica del sangue nella quale i globuli rossi diminuiscono ed è spesso necessario intervenire con trasfusioni. I benefici della nuova terapia vanno dalla riduzione fino, in molti casi, all’eliminazione delle trasfusioni. La ricerca è stata guidata dall’Ann e Robert H. Lurie Children’s Hospital of Chicago. Il risultato è appena stato pubblicato su The New England Journal of Medicine.
La beta talassemia, dal greco tàlassa (mare) e aìma (sangue), o anemia mediterranea è una malattia del sangue trasmessa geneticamente, in cui l’organismo non produce abbastanza emoglobina, la proteina contenuta nei globuli rossi che trasporta l’ossigeno nel sangue. La diminuzione dei globuli rossi può essere anche molto severa, tanto da portare ad una forma di anemia dipendente da trasfusioni (in questi casi si parla di talassemia maggiore), che devono essere ripetute anche una volta al mese e sono necessarie per poter sopravvivere.
Gli scienziati studiano da anni terapie geniche che possano combattere questa patologia grave. Tra queste figura anche la nuova terapia dell’azienda Bluebird Bio, in un’analisi ad interim, un’indagine che mette a confronto la sicurezza e l’efficacia di un trattamento nei due gruppi, quello che riceve la terapia e quello di controllo, prima della conclusione formale degli studi.
Quelli presi in considerazione nell’analisi sono due trial clinici di fase 1 e fase 2, in cui si dimostra che il farmaco non è tossico e qual è la sua attività. Non parliamo ancora della fase 3, quella dove si valuta e si conferma l’efficacia del trattamento. L’analisi è stata condotta su 22 pazienti, di età dai 12 ai 35 anni. Quasi tutti sono riusciti a ridurre o eliminare le trasfusioni dopo circa due anni dall’infusione: su 22 partecipanti totali, 15 le hanno eliminate ed altri 6 hanno ridotto il volume mediamente del 73%.
La terapia genica testata nello studio prevede un’unica somministrazione. Per realizzarla, sono state prelevate da ciascun paziente cellule staminali ematopoietiche (quelle che danno origine a tutte le cellule del sangue), che prima dell’infusione sono state trattate in laboratorio con un virus modificato, in modo da sostituire il gene che nella talassemia non funziona (quello della beta globina). I partecipanti sono stati sottoposti dunque a chemioterapia prima di poter ricevere l’infusione delle nuove cellule, allo scopo di ripulire il sangue dalle cellule malate e di preparare l’organismo a ricevere quelle modificate in laboratorio.
Fermo restando che il follow-up continuerà per i prossimi 15 anni (oggi il monitoraggio ha raggiunto i due anni o più), le analisi condotte finora mostrano che il trattamento non pone particolari problemi rispetto alla sicurezza, come sottolineano gli autori, dato che le reazioni avverse sono risultate simili a quelle che si verificano negli altri trapianti di cellule staminali autologhe.
Ora i ricercatori dovranno valutare l’efficacia del trattamento su un campione più vasto di persone, appunto nella fase 3, anche se questi primi risultati sono promettenti. “Dato che abbiamo rilevato risultati così positivi – ha spiegato Alexis Thompson, primo autore del paper e presidente della Società Americana di Ematologia – ora stiamo arruolando pazienti di soli cinque anni in un trial di fase 3 con questa terapia genica per la talassemia dipendenti da trasfusioni”.
Riferimenti: The New England Journal of Medicine