Voyager 1 non è più sola. Lo scorso 5 novembre 2018 anche la gemella Voyager 2 ha varcato ufficialmente i confini del nostro Sistema solare, lanciandosi nella seconda parte del suo viaggio che d’ora in avanti la porterà ad esplorare i misteri dello spazio interstellare. Un traguardo che fa della sonda Nasa il secondo oggetto mai costruito dalla nostra specie ad uscire dal Sistema solare, o più precisamente dall’eliosfera, la porzione di spazio sottoposta all’azione dei venti solari. A certificarlo, sulle pagine di Nature Astronomy, sono stati i ricercatori dell’università dell’Iowa, grazie all’analisi della densità del plasma che circonda la sonda.
Come nel caso della gemella Voyager 1, a rendere possibile la conferma dell’uscita di Voyager 2 dal Sistema solare è stato uno degli strumenti montati sulla sonda: il plasma wave instrument con cui gli scienziati dell’università dell’Iowa tengono costantemente sotto controllo la densità del gas ionizzati che circondano la navetta. Stando ai dati raccolti dallo strumento, il 5 novembre 2018 Voyager 2 è uscita di colpo dalla bolla di plasma ad alta temperatura e bassa densità che caratterizza l’eliosfera, per entrare in una zona di gas più freddi e più densi. Caratteristiche riconducibili al mezzo interstellare: lo spazio aperto tra le stelle che compongono la nostra galassia.
Il punto d’uscita di Voyager 2 dal Sistema solare è situato a 119.7 unità astronomiche (au) dalla Terra, cioè a 119,7 volte la distanza media del nostro pianeta dal Sole. Nel caso di Voyager 1 era successo a 122,6 au dalla Terra. Una distanza praticamente identica, che permette agli astronomi di comprendere con maggiore precisione la forma dell’eliosfera: le due sonde, lanciate nel 1977 dalla Nasa, hanno infatti viaggiato su traiettorie completamente differenti, e questo lascia ipotizzare che la zona di spazio interessata dai venti solari abbia una forma piuttosto regolare. “I dati ci dicono che l’eliosfera è simmetrica, quanto meno nei due punti in cui le due sonde hanno superato il suo limite esterno”, spiega Bill Kurth, ricercatore dell’università dell’Iowa che ha partecipato allo studio. “I due punti sulla superficie infatti sono praticamente alla stessa distanza dal nostro pianeta”.
Parlando di eliosfera, dunque, non ci si riferisce a un’autentica sfera, come farebbe immaginare il nome, ma di una struttura allungata con un margine curvo, simile a un proiettile spuntato o – il paragone è degli stessi ricercatori – a un calzino gonfiato dal vento. Regolare nella forma, ma non nella grandezza: Voyager 1 aveva raggiunto l’eliopausa, l’inizio della zona di transizione con il mezzo interstellare, ben 10 au prima della gemella, e questo, considerato che l’uscita è avvenuta invece quasi alla stessa distanza, permette di ipotizzare che il margine esterno del Sistema solare abbia uno spessore estremamente variabile.
Anche se ora entrambe le sonde della Nasa hanno raggiunto il mezzo interstellare, la loro missione non è finita. Dopo ben 42 anni di attività, continueranno a mandare sulla Terra dati preziosissimi che permetteranno agli scienziati di caratterizzare con più precisioni le condizioni dello spazio interstellare. Una regione ancora ricca di segreti: stando agli ultimi dati trasmessi da Voyager 1, ad esempio, il plasma in cui è immersa ha ripreso ad addensarsi. Cosa significa? È presto per dirlo. Quel che è certo, invece, è che a meno di incidenti il viaggio delle due sonde durerà ancora a lungo. “Le due sonde Voyager probabilmente sopravviveranno alla fine del nostro pianeta – racconta Kurt – le loro orbite le porteranno a spasso per la nostra galassia per almeno 5 miliardi di anni, se non di più. E le probabilità che possano scontrarsi con qualcosa, a questo punto, sono praticamente inesistenti”.
Via: Wired.it
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