Riduce il tremore in maniera immediata e soprattutto non invasiva. La terapia sperimentale con ultrasuoni focalizzati ad alta intensità è la nuova speranza per chi soffre di Parkinson o tremore essenziale. Finora nel mondo sono stati trattati circa 1000 pazienti, di cui 600 con patologie neurologiche, prevalentemente tremore essenziale, ma anche epilessia, disturbi ossessivi-compulsivi e alcune forme di tumore cerebrale. I dati che saranno presentati al congresso annuale della Radiological Society of North America parlano di un’efficacia del 95% e un miglioramento della qualità di vita dei pazienti. Uno studio tutto italiano, che promette di trasformare radicalmente il trattamento delle malattie che causano tremore, come la malattia di Parkinson, che colpisce l’1-2% della popolazione mondiale sopra i 60 anni. La percentuale sale a 3-5% quando l’età è superiore agli 85 anni.
Tremore essenziale e Parkinson sono entrambi disordini del movimento: uno dei sintomi caratteristici è appunto il tremore a una o più parti del corpo, in genere le mani. Le due malattie degenerative compaiono solitamente in età avanzata, benché esistano anche forme con esordio giovanile, e colpiscono milioni di persone in tutto il mondo.
Talatomia, la cura scoperta per caso 200 anni fa
Per capire come funziona la nuova terapia con ultrasuoni dobbiamo fare un passo indietro. Precisamente a circa 200 anni fa, quando il medico James Parkinson scoprì la malattia che oggi porta il suo nome. In uno dei primi dei casi mai documentati, si verificò un evento singolare: un paziente guarì dal tremore dopo una lesione cerebrale causata da un ictus. Alla fine del XIX secolo, quindi, una circostanza fortuita aveva suggerito lo stratagemma di provocare una lesione chirurgica per alleviare il sintomo del tremore. Si chiama talamotomia, perché viene pratica nel talamo, l’area del cervello che controlla i movimenti involontari e che nei malati di Parkinson non funziona come dovrebbe.
La tecnica effettivamente riduceva il tremore, ma si trattava comunque di un intervento chirurgico, ad alto rischio di complicazioni e deficit neurologici. Con il tempo, fu sostituita da terapie meno invasive, come la somministrazione del levo-dopa, un analogo del neurotrasmettitore dopamina, che nei pazienti viene a mancare a causa della distruzione dei neuroni che la producono. Ma anche la terapia farmacologica non è esente da complicazioni e non tutti i pazienti rispondono adeguatamente. Così negli ultimi anni è tornata in auge la chirurgia funzionale, con la cosiddetta “deep brain stimulation” (DBS), che consiste nell’impianto di elettrodi nel cervello collegati a un pacemaker posizionato nel torace. La stimolazione mima una lesione a livello del nucleo sub-talamico, ma è reversibile: basta spegnere il pace-maker per ripristinare la funzione.
La nuova talatomia con gli ultrasuoni
La DBS ha conquistato la pratica clinica, ma rimane una procedura invasiva, che va eseguita in centri specializzati e richiede la massima precisione. Un’opzione più recente, ancora in fase sperimentale, è chiamata “magnetic resonance-guided focused ultrasound (MRgFUS)”. È tecnicamente una talamotomia, ma non richiede nessuna incisione. A provocare la lesione sono gli ultrasuoni focalizzati, impulsi di energia sonora che distruggono una piccola parte del talamo, riscaldandola fino a temperature di 60°C. Curiosamente, la procedura allevia i sintomi nella regione opposta: il trattamento al lato destro del cervello riduce il tremore nella parte sinistra del corpo e viceversa.
Oltre a essere meno invasiva della DSB, la terapia con ultrasuoni presenta anche altri vantaggi. “È più immediata – commenta Federico Bruno, radiologo all’università dell’Aquila e co-autore dello studio – richiede un periodo più corto di ospedalizzazione ed è ben tollerata anche dai pazienti più fragili”. Sono già stati trattati con successo pazienti con più di 70 anni, proprio perché il rischio di complicazioni è basso.
Lo studio su pazienti con malattia di Parkinson
Alla sperimentazione guidata da Bruno e colleghi hanno partecipato 39 soggetti con età media di 64 anni: 18 avevano una diagnosi di tremore essenziale e 21 di Parkinson. Una novità rispetto agli studi precedenti, che includevano quasi esclusivamente pazienti affetti da tremore essenziale. I ricercatori hanno misurato il tremore e la qualità di vita dei pazienti prima e immediatamente dopo il trattamento, e nel corso di tutto l’anno successivo. I risultati sono stati sorprendenti: 37 pazienti su 39 (il 95%) hanno riportato una significativa e immediata riduzione del tremore.
“L’applicazione clinica di questa tecnica per le malattie neurologiche è una novità assoluta: è stata approvato dalla FDA meno di tre anni fa “, ha commentato Bruno.” Pochi pazienti conoscono questa opzione di trattamento ancora e non ci sono molti centri specializzati dotati della tecnologia richiesta”.
Riferimenti: Radiological Society of North America
Credits immagine di copertina: Sabine van Erp da Pixabay