Anche se il mondo si fermasse domani, e le emissioni si bloccassero all’istante, non cambierebbe nulla. La miccia del cambiamento climatico è già accesa e non c’è alcun modo di spegnerla: la temperatura media globale è ormai destinata ad aumentare – nella migliore delle ipotesi – di un grado e mezzo rispetto al periodo preindustriale. E siccome non è verosimile arrestare la produzione di CO2 (e metano) entro le prossime 24 ore, il surriscaldamento si attesterà almeno intorno ai due gradi. Il cambiamento climatico sta dunque accelerando, come sottolinea anche l’ultimo rapporto dell’International Panel on Climate Change (Ipcc), visto che abbiamo già raggiunto un aumento complessivo di circa 1,2 gradi per colpa delle attività antropiche a partire dal Novecento.
Il rapporto
Le conseguenze del cambiamento climatico, continua l’IPCC, sono già sotto gli occhi di tutti. Nei prossimi anni fenomeni estremi riguardanti, ad esempio, il ciclo dell’acqua, andranno via via intensificandosi, coinvolgendo maggiormente le regioni costiere e insulari. Il rapporto cita l’aumento di alluvioni, uragani e inondazioni alternate a periodi di estrema siccità, l’innalzamento del livello dei mari, lo scioglimento del permafrost e dei ghiacciai, il riscaldamento degli oceani e la loro acidificazione, l’innalzamento delle temperature nelle città e così via.
E allora perché impegnarsi ad azzerare le emissioni e rischiare di cambiare radicalmente il nostro modo di vivere, se ormai è troppo tardi? Per la qualità dell’aria, innanzitutto. Se nel caso dell’aumento delle temperature, infatti, l’inerzia delle attività umane condotte fino ad oggi è di almeno 20 anni, l’aria che respiriamo quotidianamente migliorerebbe quasi istantaneamente. L’abbiamo visto durante la pandemia da Covid-19, durante la quale l’arresto del traffico e delle attività industriali ha ridotto l’emissione di ossidi di azoto fino al 40 per cento su base settimanale, e registrato un calo fino al 20 per cento dei particolati presenti in atmosfera.
Interi sistemi climatici a rischio
Diminuire drasticamente l’immissione di CO2 in atmosfera, in secondo luogo, sarebbe fondamentale anche sul lungo periodo. Secondo una review recentemente pubblicata sulla sezione Earth and Environment di Nature, l’aumento dell’effetto serra e il surriscaldamento globale influenzerebbero anche fenomeni climatici secolari determinanti per il clima dell’intero pianeta, come El Niño Southern oscillation (Enso). Un nuovo studio pubblicato su Nature climate change analizza la risposta dell’Enso al riscaldamento causato dall’effetto serra usando modelli ad altissima risoluzione per simulare l’evoluzione delle condizioni atmosferiche e oceaniche nei prossimi cento anni, e ipotizzando un aumento delle temperature che segua le previsioni attuali.
L’Enso, attraverso le sue due fasi più estreme note come El Niño e La Niña, determina oscillazioni cicliche delle temperature superficiali delle acque dell’Oceano Pacifico equatoriale su tempi scala di 3-7 anni, causando piogge torrenziali e inondazioni o estrema siccità sulle coste che vi si affacciano. Non solo, l’Enso è in grado di influenzare la circolazione atmosferica globale, e con essa le temperature e le precipitazioni. Per questo è importante comprendere come e quanto il surriscaldamento globale possa influenzare questo fenomeno che si mantiene costante da almeno 11 mila anni. I risultati mostrano un indebolimento del fenomeno e della sua variabilità in seguito all’aumento dei livelli di CO2, che emerge già al raddoppiare dei livelli attuali ma diventa estremamente significativo al quadruplicare degli stessi.
Come questo influisca sull’insorgere di precipitazioni o periodi di siccità o su eventi climatici estremi pericolosi per le popolazioni costiere non è ancora chiaro ma, assicurano gli scienziati, questi processi sono destinati a diventare sempre più estremi in un mondo più caldo e in cui le emissioni non vengano contenute.
Immagine di copertina: Markus Spiske on Unsplash