La curcumina contro lo sbiancamento dei coralli

curcumina
(Foto: Hiroko Yoshii su Unsplash))

I coralli e le barriere coralline non servono solo ad alimentare il mercato del turismo. Una delle conseguenza nell’ecosistema marino dell’aumento delle temperature oceaniche legato al cambiamento climatico è il loro sbiancamento – o bleaching. Un fenomeno tutt’altro che unicamente estetico. In un lavoro pubblicato sulla rivista ACS Applied Materials, frutto della collaborazione tra l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), l’Università degli Studi di Milano Bicocca, e l’Acquario di Genova, Simone Montano vicedirettore del Marine Research and Hing Education Center (MaRHE Center) e docente del corso di laurea magistrale internazionale di Marine Science racconta il ruolo che può avere un composto del mondo vegetale: la curcumina.

Di cosa si occupa nel suo lavoro sui coralli?

“Io guardo a quella che viene chiamata la criptofauna, per cercare di capire se ha un ruolo significativo nel conferire o no un certo benefit, visto che le barriere coralline ormai sono sotto stress. Ma mi occupo anche di tutta la fauna associata al corallo: questa sorta di animale veramente strano, percepito a volte nemmeno come un essere vivente, che instaura diverse interazioni ecologiche con altri organismi. Questi ne determinano poi la sua capacità di resistere nell’ambiente in cui vive e quindi anche ai cambiamenti climatici”.

Reef, bleaching, cambiamenti climatici: quale equilibrio è a rischio?

“Il reef è un ecosistema che, come qualunque altro in questi anni di cambiamenti climatici, tende a soffrire. Noi oggi soffriamo con il caldo, se fuori ci fossero -20 gradi soffriremmo per il freddo: se abbiamo la maglietta o no può fare la differenza, e se abbiamo un condizionatore o no può fare la differenza. Lo stesso accade per gli ambienti naturali: gli ambienti marini, in particolare quelli corallini, stanno soffrendo di questo eccessivo surriscaldamento delle temperature, perché come si scalda l’aria, si scalda l’acqua, portando a squilibri interni dell’animale che possono portarlo alla morte.

Il corallo, infatti, vive in simbiosi con delle alghe al suo interno, che oltre a dargli il colore grazie alla fotosintesi, gli danno anche nutrimento. La fotosintesi, inoltre, cambia anche l’equilibrio chimico dell’acqua, aiutando la deposizione del carbonato di calcio, lo scheletro del corallo. Quando le temperature si alzano questa relazione simbiotica viene meno e il corallo letteralmente muore di fame. Le scogliere coralline di tutto il mondo, a seguito del surriscaldamento delle acque, stanno subendo fenomeni di questo tipo. Fenomeni importanti, perché non si verificano sul singolo corallo ma su tutta la barriera. Ormai è da anni che si verificano fenomeni di mortalità per centinaia migliaia di chilometri di estensione. Questo fa sì che il bleaching delle barriere coralline sia una delle forme di impatto più grandi che conosciamo: ormai è stato stimato che negli ultimi 20-30 anni abbiamo perso il 50% delle sezioni delle scogliere coralline originali”.

Quanto può impattare nella nostra vita, anche a lungo termine, questo fenomeno che sembra così distante da noi?

“Non è neanche così distante, perché le acque sono ovunque. Per gli organismi che vivono ai tropici le conseguenze del surriscaldamento delle acque sono importanti. Questo ecosistema ospita il 25% di tutta la diversità marina mai conosciuta. E inoltre, probabilmente, sta ospitando anche tutta una serie di organismi che noi neanche conosciamo. Il paradosso è che ce li stiamo perdendo senza neanche averli mai scoperti. Poi, si stimano tra i 500 milioni e 1 miliardo le persone che dipendono dalle risorse di questi ecosistemi. Il reef protegge la costa dall’erosione: pensiamo ai rischi che corrono le Maldive, dove noi abbiamo un centro. In più, grazie alla loro biodiversità, sostiene la catena alimentare dei pesci. Quindi, la pesca: i pesci passano la maggior parte del tempo, nelle fasi giovanili, tra i rami di un corallo. Se noi li perdiamo il sistema si appiattisce e i pesci scompaiono. Per non parlare del turismo: quanti paesi con ecosistemi marini tropicali dipendono da queste attività? In più c’è tutta una serie di possibili nuove molecole che potrebbero essere scoperte e che noi ci perderemmo”.

Come si può contrastare lo sbiancamento?

“Una tecnologia consiste nel convogliare dell’acqua più fredda dalle profondità dell’oceano verso la superficie. Le temperature rimangono stabili, però c’è bisogno di una quantità immane di energia e di fondi. Un’altra è quella di sparare dei sali nell’atmosfera, per aumentare la condensazione delle micro-molecole d’acqua e formare le nuvole. Noi siamo già in grado di formare nuvole artificiali. Potrebbe essere un tentativo per diminuire l’irraggiamento, quindi il surriscaldamento. Anche questa soluzione però è difficilmente praticabile. Un’altra recente innovazione riguarda i probiotici, grazie ai quali il corallo è meno suscettibile agli effetti del cambiamento climatico, ma il rischio è che non vengano somministrati bene. Inoltre, è un rimedio a breve termine, mentre lo stress può perdurare per settimane o mesi”.

Il suo gruppo di ricerca ha lavorato sulla curcumina: di cosa si tratta?

“Il fenomeno per cui il corallo muore è lo stress ossidativo: le cellule del corallo producono dei radicali liberi, che sono tossici, e il corallo per liberarsene si libera anche delle alghe, e muore. L’idea era quella di provare una molecola antiossidante. Ci sono tanti antiossidanti in natura, e uno dei più famosi è il principio attivo della curcuma: una spezia che indiani e cinesi usano da millenni in funzione antinfiammatoria e antiossidante. L’intuizione è stata del chimico farmaceutico Marco Bottardi, che ha già lavorato sulla curcumina in altri ambiti. Così abbiamo progettato un materiale biodegradabile e biocompatibile – che sono due cose importanti – che possa somministrare direttamente sott’acqua la curcumina”.

Di che materiale si tratta?

“Il film che incapsula la curcumina è un mix di zeina e PVP. La zeina è derivata dalla cariosside del mais, dunque una risorsa comune. Il PVP è un polimero sintetico ma biodegradabile. Insieme formano un biocomposto: se io utilizzassi solo la zeina, il materiale sarebbe troppo idrofobico e quindi non si scioglierebbe mai; se utilizzassi troppo PVP sarebbe troppo idrofilico e si scioglierebbe subito. L’idea è di ottenere un materiale finale fatto da tutte e due le componenti e che ha delle proprietà nuove, e quindi in grado di biodegradarsi a seconda di quali sono le concentrazioni che mettiamo dell’uno dell’altro nelle tempistiche desiderate e rilasciare il principio attivo che si vuole somministrare”.

Come si verifica l’efficacia della curcumina su un corallo?

“All’acquario di Genova abbiamo dei laboratori dedicati. Per testare l’efficacia della curcumina abbiamo preso dei frammenti di un corallo modello, sottoposti a diversi stress termici. Tra i campioni da testare c’erano frammenti di coralli senza nessun trattamento (il controllo), quelli a cui si applicava il film senza la curcumina, e quelli in cui si applicava il film con la curcumina. Come quantificare l’effetto migliorativo nei coralli? Nel bleaching si perdono le alghe. Ciò vuol dire perdere anche i pigmenti: la clorofilla. Siamo andati a vedere cosa succedeva alla clorofilla. Inoltre, poiché durante lo stress ossidativo le cellule producono degli enzimi specifici che trasformano questi radicali liberi in forme meno tossiche, siamo andati anche a fare dei dosaggi enzimatici. Quando abbiamo sottoposto i coralli a temperature fino a 33°C le porzioni di corallo che non avevano trattamento o quelli che avevano il film senza curcumina hanno mostrato una certa produzione di enzimi antiossidanti e una perdita massima di clorofilla, mentre quelli trattati con film e curcumina avevano clorofille ed enzimi esattamente come le condizioni iniziali: non sono andati sotto stress e non sono sbiancati”.

Quale potrebbe essere il futuro di questa tecnologia?

“Questo è ancora un prototipo, ma vogliamo trovare una soluzione scalabile, cioè che possa essere applicata sulla larga scala. Nel frattempo, siamo contenti perché a pochi giorni dalla pubblicazione il nostro lavoro ha suscitato l’interesse di altri gruppi di ricerca negli Stati Uniti e in Australia”.

(Credits immagine: Hiroko Yoshii su Unsplash)