Pirous Fateh-Moghadam, epidemiologo specializzato in Igiene e Medicina Preventiva e oggi al Dipartimento di prevenzione dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari di Trento offre, fin dal titolo del suo libro, una alternativa apparentemente ovvia: o guerra o salute. Ma quando la guerra è in atto, inevitabile e sanguinosa, che ne succede della salute?
Il male creato
Quello che nasce dalla guerra può essere considerato un male creato, dato che le conseguenze della guerra incidono sulla vita delle persone, sull’ambiente di vita, sulle speranze di futuro. L’autore offre in questo testo moltissimi dati e riferimenti al male creato dalle numerose guerre che hanno sconvolto Paesi in tutto il mondo, citando soprattutto la guerra attualmente in corso tra Russia e Ucraina. La pubblicazione precede le recentissime fasi del conflitto tra l’organizzazione terroristica Hamas e lo Stato di Israele, ma è facile generalizzare anche a questa situazione l’analisi delle conseguenze di una guerra in atto.
Solo guerre difensive
La Carta delle Nazioni Unite, fin dal 1945, ha abolito lo ius ad bellum, cioè il diritto degli Stati di dichiarare la guerra, con l’unica eccezione di una guerra difensiva in risposta ad un attacco. Niente più guerre “giuste”, e le guerre difensive sono ammesse soltanto in via temporanea. Di fatto, per aggirare l’ostacolo, le guerre non si chiamano più guerre ma “interventi di polizia internazionale”, o missioni militari di “difesa preventiva”, “operazioni speciali”, e così via.
Cosa dicono le Convenzioni
Le convenzioni, di Ginevra, dell’Aia e poi ancora di Ginevra, seguite da una quarta convenzione sulla protezione dei civili, prescrivono:
– che i civili non debbano costituire bersagli in azioni militari;
– che le azioni militari debbano essere nettamente distinte dalle azioni umanitarie;
– che la scelta delle armi debba permettere una netta distinzione tra i combattenti.
Inoltre devono essere rispettati precisi standard che stabiliscono le condizioni della resa, la detenzione e il trattamento dei prigionieri. Ma tali prescrizioni vengono invariabilmente violate in ogni conflitto armato. Già tra il 1949 e il 1989 gli interventi militari nel mondo (Vietnam, Algeria, Afghanistan, Irlanda del Nord, Isole Falkland) hanno di molto indebolito le norme del diritto internazionale e dei diritti umani, per proseguire ai giorni nostri con le violazioni sistematiche compiute nelle guerre attualmente in atto. E Fateh-Moghadam commenta duramente che, date le situazioni avallate nei precedenti conflitti, l’ONU non può pretendere di essere preso sul serio quando si atteggia a difensore dei principi universali dei diritti umani.
Uranio, deforestazione, mine
La documentazione presentata nel libro si sofferma sui vari crimini contro l’umanità compiuti in tempo di guerra e insiste sui due maggiori problemi provocati dai conflitti armati: la diffusione di malattie infettive e la malnutrizione. Questa è provocata dalla riduzione della produzione alimentare, dalle difficoltà di stoccaggio e trasporto, da eventuali embarghi, dalla impossibilità di usare il cibo disponibile. Ma alle conseguenze immediate di una guerra guerreggiata si aggiungono quelle a lungo termine, che perdurano per decine di anni dopo la fine dei conflitti. Così ancora oggi le popolazioni soffrono le conseguenze della deforestazione in Vietnam, dell‘uso dell’uranio impoverito nei Balcani e in Afghanistan; e bisogna anche considerare effetti meno visibili e altrettanto duraturi. La presenza di mine antipersona, l’inquinamento dell’acqua e dell’atmosfera da parte di metalli pesanti, i territori agricoli resi inutilizzabili, la distruzione di risorse idriche, la mancanza di presidi sanitari e di ospedali attrezzati modificano per tempi lunghissimi la vita delle popolazioni colpite dalla guerra. In tempo di pace, poi, non si esauriscono i danni provocati dal bellicismo: possiamo ricordare lo smaltimento di armi obsolete, il consumo di risorse energetiche e di materie prime, gli effetti tossici delle sostanze disperse nell’ambiente. Sempre ricordando che “la guerra è decisa dai ricchi ma combattuta dai poveri”, che ne subiscono le conseguenze a lungo termine.
Ridurre gli effetti sulla salute
Negli ultimi capitoli del libro, Fateh-Moghadam indica alcune possibilità di prevenire conflitti armati, identificando i meccanismi politici, economici e sociali che potrebbero determinarli. Ma sarebbe anche necessario ridurre le conseguenze su salute e ambiente delle guerre in atto, per esempio occupandosi dell’accoglienza dei profughi. La promozione della pace diventa quindi un impegno per chiunque sia interessato alla civile convivenza.
Quanto spendiamo in armamenti
A livello individuale bisogna essere consapevoli della pulsione alla violenza presente in tutti gli umani e realizzare dei freni culturali e normativi in grado di controllarla. A livello politico si può lavorare per la risoluzione non violenta dei conflitti, eliminandone le cause primarie, evitando di fomentare inimicizie tra popoli, rafforzando le infrastrutture per la promozione della pace. La povertà e le disuguaglianze economiche, ad esempio, insieme alla disponibilità di armi sono alla base di atteggiamenti militaristi. Ed è forse è utile ricordare che le spese per il mantenimento della pace sono inferiori di centinaia di volte rispetto alle spese militari.
Prevenire le guerre
A conclusione di questo saggio, Fateh-Moghadam indica alcune aree specifiche in cui si possono articolare le attività di prevenzione primaria contro la guerra. In particolare, sono necessari interventi per la sanità pubblica finalizzati alla formazione professionale di medici e personale sanitario, alla promozione di approcci interdisciplinari alla epidemiologia, all’etica, alla cultura della pace. La rivista Epidemiologia & Prevenzione dell’Associazione Italiana di Epidemiologia cura la disseminazione di informazioni che si accompagnano a un impegno civile e politico a favore del disarmo, dell’accoglienza e difesa dei diritti dei migranti, dell’assistenza alle vittime della guerra.
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