Uno su tre ammette comportamenti scorretti. È la preoccupante statistica sui ricercatori statunitensi rivelata da un sondaggio dell’Health Partners Research Foundation di Minneapolis, condotto da Brian Martinson e pubblicato su Nature. Il sondaggio è stato distribuito per posta a oltre 3.000 scienziati americani finanziati dal National Institute of Health, e li ha interrogati anonimamente alla ricerca di comportamenti che spaziano dalla falsificazione dei risultati all’omissione di singoli dati da curve sperimentali. Un terzo degli intervistati ha confessato uno tra i dieci principali comportamenti scorretti, nonostante solo l’1,5 per cento abbia ammesso il plagio. L’ammissione più rilevante è risultata la manipolazione del progetto, del metodo o dei risultati in risposta alle pressioni degli enti finanziatori. Come fa notare Martinson, gli scienziati si trovano a competere ferocemente per pubblicare e per ottenere finanziamenti. Arthur Caplan, direttore del centro di Bioetica dell’Università della Pennsylvania, suggerisce di non concludere che la struttura della scienza è logorata, e ridimensiona i “peccati minori” rispetto al vero plagio. Martinson e i suoi colleghi, ad ogni modo, sperano che il loro risultato persuada gli scienziati a riconsiderare la cattiva condotta scientifica anche nei suoi aspetti minori; il loro suggerimento è incrementare i salari e le condizioni di impiego dei giovani scienziati, e garantire una maggiore trasparenza del processo di peer-review (m.d.b.)