Se non si raschia il fondale

Ecco un’argomentazione convincente da proporre ai pescatori per farli desistere dalla pesca selvaggia. Per lo meno nel breve periodo, dato che uno studio dimostra che gli affari, lasciando riposare i mari per un po’, tornano più floridi. Sono questi i risultati di una ricerca pubblicata su Science.  “È ormai assodato: continuare così può portare solo alla rovina, sia dell’ecosistema marino sia degli esseri umani”, spiega Quentin Grafton, ricercatore della Crawford School of Economics and Government presso l’Australian National University (Anu) e co-autore dello studio. “I dati che abbiamo raccolto dimostrano che i profitti migliori nascono proprio a seguito di periodi in cui si permette al mare di riposare”.  Anche la Fao (Food and Agriculture Organization) ha stilato quest’anno un rapporto in cui denuncia l’urgenza di un ritorno a ritmi di pesca sostenibili, che permettano alla natura di mantenersi in equilibrio. È questo un fenomeno che gli studiosi australiani definiscono ‘the stock effect’: se il pesce è abbondante si producono una serie di vantaggi a catena sul sistema economico, non ultimo il risparmio sui costi di carburante nautico. A parità di pesce pescato, infatti, stare tre giorni in barca costa di più che non uno solo, tanto per sottolineare l’aspetto più lampante.

Lo studio è stato effettuato prendendo come riferimento quattro specie ittiche, tutte commestibili e altamente richieste dal mercato. “Abbiamo condotto una ricerca studiando gli effetti della riduzione del prezzo di tonno e gamberetti, che sono le specie animali più ricercate dai consumatori”, spiegano gli autori, “ma non si è registrato nessun sensibile vantaggio economico per chi smercia il prodotto”. Una temporanea rinuncia alla pesca, dunque, in cambio di un guadagno effettivo in futuro, irraggiungibile attraverso i consueti giochi di abbassamento e innalzamento dei prezzi. La proposta è stata accolta con successo in Australia, il primo paese che si impegna a cambiare strategia. (s.f.)

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