Gli oranghi sono da sempre considerati, tra le scimmie antropomorfe, i “cugini più lontani” dell’essere umano. Ora, il sequenziamento del Dna di alcuni esemplari del Borneo e di Sumatra conferma l’ipotesi, e prova che l’evoluzione di questi primati è stata molto più lenta della nostra, di quella del gorilla e dello scimpanzé. Secondo lo studio, realizzato dai ricercatori della Washington University School of Medicine in St. Louis (Usa) e pubblicato su Nature, il genoma degli oranghi sarebbe rimasto pressoché uguale per circa 15 milioni di anni.
Delle antiche popolazioni di oranghi che un tempo vivevano in tutto il sud-est asiatico, rimangono solo due specie: il Pongo pygmaeus sull’isola del Borneo e il Pongo abelii sull’isola di Sumatra. Sino ad oggi, i ricercatori datavano la separazione delle due specie a un milione di anni fa, ma il nuovo studio sposta le lancette parecchio più avanti: a circa 400 mila anni fa. La scoperta è stata possibile grazie al sequenziamento del codice genetico di Susie, una femmina di orango dell’isola di Sumatra. Oltre al suo genoma, i ricercatori hanno decodificato il Dna di altri 10 oranghi, 5 provenienti dal Borneo, 5 da Sumatra.
Dall’analisi genetica (come spiegato nel video) è emerso che il Dna dell’orango è identico a quello umano per il 97 per cento, contro il 99 per cento di quello dello scimpanzé. Ma la sorpresa è arrivata dallo studio delle cosiddette “variazioni strutturali”: duplicazioni, inversioni e perdite di segmenti di Dna che ne testimoniano la velocità di evoluzione. Mentre la doppia elica degli esseri umani e degli scimpanzé è ricca di queste alterazioni, quella degli oranghi ne ha relativamente poche. Ciò significa che gli oranghi hanno avuto un’evoluzione lenta. Tanto lenta da essere rimasta praticamente ferma per 15 milioni di anni, da quando cioè è avvenuta la separazione dalla linea evolutiva che avrebbe portato all’essere umano e alle altre scimmie antropomorfe.
Secondo i ricercatori, le informazioni racchiuse nel Dna sequenziato non serviranno solo a far luce sul passato, ma a proteggere il futuro. Il destino dei pochi oranghi rimasti (si stimano circa 7.000 esemplari in Sumatra e 5.000 nel Borneo) è infatti minacciato da deforestazione, caccia e malattie; conoscendo la diversità genetica delle popolazioni, si potranno progettare interventi di conservazione più efficaci.
Riferimenti: Nature doi:10.1038/nature09687