Il futuro del fotovoltaico potrebbe essere questo: celle solari grandi qualche miliardesimo di metro, più efficienti e più durature di quelle attualmente utilizzate nei pannelli e auto-assemblanti. I componenti di questi nanoscopici dispositivi possono infatti continuamente dissociarsi e ri-assemblarsi con l’aiuto di un solvente. L’invenzione, illustrata sulle pagine di Nature Chemistry, è dei ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (Mit) di Boston (Usa) guidati da Michael Strano.
Una delle maggiori sfide nel campo del fotovoltaico è imprigionare l’energia solare in dispositivi sempre più efficienti, grazie a materiali capaci di resistere al deterioramento causato dal sole stesso. Come in molti altri casi, la natura indica una possibile soluzione. Nelle piante infatti, all’interno dei cloroplasti, le molecole sensibili alla luce si proteggono dagli effetti nocivi dei raggi rinnovandosi continuamente, prima demolendosi e poi ri-assemblandosi.
I ricercatori del Mit hanno quindi creato un prototipo di un dispositivo, cercando di mimare questo processo. Per farlo hanno mescolato in soluzione sette diversi componenti, tra cui lipidi, nanotubi di carbonio e proteine. Questi, in presenza di un solvente, rimangono separati; togliendo il solvente, i lipidi, le proteine e i nanotubi si organizzano in strutture ordinate, capaci di funzionare come celle fotovoltaiche. Nello specifico, i lipidi si dispongono in dischi e forniscono supporto per le proteine, organizzate come centri di reazione in grado di catturare la luce e trasformarla in energia. I dischi di lipidi, inoltre, in soluzione si legano spontaneamente ai nanotubi di carbonio. Questo il processo: quando le proteine sono colpite dai fotoni, si liberano elettroni che, passando attraverso i dischi, vengono indirizzati verso i nanotubi di carbonio (capaci di trasportare corrente elettrica con grande efficienza).
L’efficienza di questo dispositivo nel convertire l’energia solare in energia elettrica è circa del 40 per cento, circa il doppio delle celle fotovoltaiche attualmente impiegate nei pannelli. Ma potrebbe crescere ancora, riportano i ricercatori.
Riferimenti: doi:10.1038/nchem.822