Le epidemie si combattono (anche) con Twitter

L’uso di Twitter e dei social network si è ormai fatto largo in molti ambiti, dal giornalismo alla politica, arrivando ad essere anche strumento per studi scientifici (vedi Galileo, “La felicità in un tweet“). Ma i “media informali” possono anche essere alla base della lotta alle epidemie. Uno studio pubblicato su American Journal of Tropical Medicine and Hygiene dà ora un’idea di quanto possano essere efficaci: monitorare la diffusione del contagio di una malattia tramite social network e blog fa risparmiare tempo, perché offre un quadro simile a quello che si ottiene con le statistiche ufficiali, ma più velocemente.

I ricercatori della Harvard Medical School e del Children’s Hospital di Boston, hanno infatti provato a ricavare i dati di trasmissione dell’epidemia di colera ad Haiti – l’ultima grande epidemia globale di questa patologia, scoppiata subito dopo il terremoto che ha colpito la zona nel gennaio 2010. Gli scienziati hanno poi confrontato queste rilevazioni con quelle provenienti dai sistemi di sorveglianza tradizionali, come i report di ospedali e cliniche. Il risultato? I due diversi set di dati erano in ottima corrispondenza, solo che quelli derivanti dai mezzi di comunicazione informali riuscivano a dare la foto della diffusione molto prima degli altri, quasi in tempo reale.

“Quando abbiamo analizzato le notizie provenienti da Twitter, relative ai primi giorni di epidemia nel 2010, abbiamo visto che contenevano moltissime informazioni utili sulla trasmissione del colera, e che potevano fornire i dati anche con due settimane di anticipo rispetto alle statistiche ufficiali diramate dal Ministero della Salute e dal Governo di Haiti”, ha spiegato Rumi Chunara, ricercatrice del programma informatico del Children’s Hospital di Boston e della Harvard Medical School, e prima autrice dello studio.

Per fare il confronto tra i dati istituzionali e quelli derivanti dai media informali, i ricercatori hanno sfruttato uno strumento chiamato HealthMap, online dal 2006, che era stato pensato dall’ospedale di Boston proprio per sorvegliare in tempo reale l’emergere di minacce per la salute pubblica (vedi Galileo, “Epidemie nella Rete“, “Influenza suina: monitoraggio 2.0“) . Il software all’interno del sito poteva controllare automaticamente post o pubblicazioni che contenevano la parola “colera”, e aveva accesso ad una grande varietà di fonti diverse, come blog, giornali online, forum o gruppi di discussione e tweet, in otto lingue differenti. 

In particolare gli scienziati statunitensi hanno osservato la diffusione del termine nei primi cento giorni dell’epidemia, dal 20 ottobre 2010 al 28 gennaio 2011, ottenendo un campione di 4.697 post e addirittura 188.819 tweet sul tema. Da questi dati, i ricercatori hanno potuto ricavare il tasso di riproduzione dell’infezione, ovvero il numero che indica quante persone si ammalano in media (casi secondari) dopo essere entrate in contatto con un paziente (caso primario). Per i dati ricavati da HealthMap, la corrispondenza con le rilevazioni ufficiali era sorprendente: per i primi giorni di contagio il tasso di riproduzione oscillava secondo i dati officiali da 1,27 a 3,72, mentre per quelli dei media informali da 1,54 a 6,89; successivamente, dopo l’arrivo dell’Uragano Tomas, che ha colpito Haiti nel novembre 2010, a 10 mesi dal terremoto, i dati registrati dalle statistiche ufficiali variavano tra 1,06 e 1,73, mentre erano tra 1,04 e 1,51 secondo le rilevazioni da Twitter e social network.

Gli autori dello studio suggeriscono che questo tipo di rilevazioni possano venire affiancate a quelle ufficiali, nei casi peggiori di epidemie che minacciano la salute pubblica. “Le stesse tecnologie che abbiamo usato ad Haiti potrebbero essere utili anche nel resto del mondo, come metodo efficiente e soprattutto veloce di monitorare le epidemie o, addirittura, di scovarne le prime manifestazioni, così che si possa intervenire tempestivamente con vaccini e antibiotici”, ha spiegato ancora Chunara: “Chiaramente questi dati non dovrebbero sostituire quelli ufficiali. Semmai potrebbero essere usati in maniera complementare, visto che riescono a dare un quadro in tempo reale delle dinamiche di diffusione della malattia, e ci permettono di fare stime per come evolveranno”.

Riferimento: doi:10.4269/ajtmh.2012.11-0597

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