Mentre il destino del nucleare italiano si fa sempre più incerto – soprattutto dopo la fiducia ottenuta alla Camera dal decreto Omnibus -, il disastro di Fukushima continua a preoccupare il resto del mondo e sempre più voci si levano a mostrare le criticità degli impianti. L’ultima accusa arriva dalle pagine del New Scientist che punta il dito sulla dipendenza delle centrali nucleari dall’ acqua, che le renderebbe le prime vittime dei cambiamenti climatici.
Gli impianti devono essere costruiti vicino a grandi bacini perché hanno bisogno di enormi quantità di acqua per raffreddare continuamente i reattori. Le zone preferenziali di costruzione sono quindi coste o rive di estuari. Aree, soprattutto le coste, che sono fortemente dinamiche ed esposte a diversi tipi di fenomeni naturali devastanti: tempeste, innalzamento dei livelli del mare, smottamenti. Minacce già esistenti che, a causa dei cambiamenti climatici in corso, possono solo peggiorare nel corso dei prossimi decenni e alle quali aggiungeranno la diminuzione di disponibilità d’acqua e l’aumento delle temperature dei mari.
Quattro sembrano essere i principali pericoli. Primo tra tutti gli uragani. Secondo gli attuali modelli climatici sono destinati ad aumentare, per lo meno rispetto al periodo in cui sono stati costruiti i principali reattori esistenti, storicamente definito di bassa attività degli uragani. Fortunatamente, al contrario dei terremoti, si tratta di eventi che possono essere anticipati e per i quali esistono alcuni provvedimenti. Che non sempre però vengono rispettati: per esempio durante l’uragano Francis del 2004, le porte disegnate per proteggere l’equipaggiamento di sicurezza dai detriti volanti nella centrale di St Lucie (Florida, Usa) vennero semplicemente lasciate aperte.
Seconda causa di preoccupazione sono alluvioni e allagamenti. I progetti attuali delle centrali nucleari prevedono misure di sicurezza stabilite in base a dati storici, tuttavia non prendono minimamente in considerazione il fatto che con tutta probabilità si alzeranno i livelli dei mari, aumenteranno i cicloni con conseguenti grandi ondate e le piogge intense saranno più frequenti. Tutto questo porterà a un accresciuto rischio di alluvioni e allegamenti come quello che ha colpito nel 1999 l’impianto di Blayais in Francia.
Spaventa anche il calore, per due diversi motivi. Primo: più fredda è l’acqua di raffreddamento più efficiente è la produzione di elettricità di una centrale. In secondo luogo, una volta che passa attraverso il sistema, l’acqua di raffreddamento viene rigettata da dove è stata prelevata ma molto più calda. La temperatura a cui si riversa l’acqua, però, per legge non può superare un certo valore. Durante l’onda di calore del 2003 in Europa, alcuni reattori francesi hanno dovuto interrompere o ridurre la produzione perché l’acqua di raffreddamento ributtata nel bacino di provenienza era molto più calda di quanto possibile.
Costretto dalle esigenze energetiche, il governo ha poi fatto un’eccezione, diventata regola per tutti i periodi estivi, permettendo comunque l’attività della centrale. La conseguenza di questo strappo normativo è stata, ed è , un grave inquinamento termico che ha drasticamente devastato l’ecosistema del bacino, già colpito dalle onde di calore.
Infine, non è da dimenticare il rischio siccità: i periodi di scarsità di acqua diventeranno sempre più lunghi e intensi secondo le previsioni. Non ci sarà più abbastanza acqua per raffreddare i reattori e la produzione dovrà essere interrotta. Adattare gli attuali impianti a usare meno riserve idriche è una sfida praticamente impossibile. Ne dovrebbero essere costruiti di nuovi in grado di usare sistemi asciutti o ibridi di raffreddamento, ma in questo modo già alti costi per la loro realizzazione diventerebbero proibitivi.
Riferimenti: wired.it