Cinquecento stelle simili al Sole che si scatenano in una danza di flebili e rapide variazioni di luce. È questo l’ultimo regalo che arriva da Kepler, il satellite della Nasa ormai diventato il miglior amico dell’asterosismologia, la disciplina che studia la struttura interna delle stelle pulsanti interpretandone oscillazioni e spettro. Dal giorno del suo lancio – il 7 marzo del 2009 – il satellite ha rilevato variazioni di luminosità in circa 500 stelle simili al Sole per dimensioni, età, composizione e collocazione nella galassia della Via Lattea. Sull’ultimo numero di Science, un gruppo di astronomi, guidati da Bill Chaplin dell’Università di Birmingham (Regno Unito), fa il punto sulle preziose informazioni inviate da Kepler sulla Terra, annunciando che “stiamo entrando in un’epoca d’oro per la fisica stellare”. Allo studio hanno partecipato anche gli italiani Alfio Bonanno ed Enrico Corsaro (dell’Osservatorio Astrofisico INAF di Catania), Leo Girardi (Osservatorio Astronomico INAF di Padova) e Andrea Miglio (dell’Università di Birmingham).
“Le oscillazioni naturali – spiegano i ricercatori – possono dirci molte cose sulla natura e l’evoluzione delle stelle. Ad esempio, forniscono informazioni sulla massa, il raggio e l’età di una stella, oltre a darci degli indizi sulla sua struttura interna”. Prima del lancio di Kepler, gli astronomi erano riusciti a identificare cambiamenti di luminosità in solo venticinque stelle della stessa categoria del nostro Sole. “Oltre a estendere incredibilmente il numero di stelle ‘coinvolte’, i nuovi dati consentono di misurare le proprietà di questi corpi celesti con un’accuratezza che non era mai stata possibile fino ad ora”, precisa Steve Kawaler, professore di fisica e astronomia alla Iowa State University (Stati Uniti).
Kawaler è il direttore della Kepler Asteroseismic Investigation, il progetto che si occupa di utilizzare i dati provenienti dal satellite per lo studio dell’asterosismologia. Lo scopo principale della Missione Kepler, in realtà, è quello di identificare eventuali pianeti simili alla Terra, dunque in grado – almeno in teoria – di supportare forme di vita. Per svolgere il suo compito, il satellite è stato dotato di un fotometro composto da un grande telescopio (circa 95 centimetri di diametro) connesso a una videocamera CCD (acronimo di Charge-Coupled Device). In quasi due anni di attività, ha monitorato i cambiamenti di luminosità di oltre 150.000 stelle nella nostra galassia.
Una volta entrato nella sua orbita eliocentrica, parzialmente sovrapposta a quella terrestre, il satellite ha iniziato la sua “caccia” ai pianeti utilizzando il metodo del “transito”, vale a dire l’occultazione parziale o totale di una stella dovuta al passaggio di un corpo celeste. Nel far questo, Kepler ha raccolto anche un’enorme mole di informazioni più generali riguardo all’oscillazione delle stelle che si trovano nella regione della Via Lattea compresa tra la Costellazione del Cigno e quella della Lira, verso cui il fotometro è costantemente puntato.
“I nuovi dati ci consentono di migliorare notevolmente la nostra comprensione di come si sono formate ed evolute le stelle”, spiega ancora Kawaler. Osservando le frequenze delle vibrazioni, infatti, è possibile dedurre la grandezza della “cassa di risonanza” che le ospita, e dunque risalire con una certa accuratezza alle proprietà interne di questi corpi celesti. “L’osservazione simultanea delle oscillazioni di ben 500 stelle – affermano i ricercatori – permette per la prima volta di confrontare misure reali con modelli teorici che descrivono fenomeni finora solo misurati al calcolatore”.
Da questo confronto si è ottenuta la conferma ad alcune predizioni teoriche, come ad esempio il fatto che la frequenza d’oscillazione di una stella diminuisce all’aumentare della sua luminosità. Ma non mancano i punti più oscuri: sembra infatti che “l’orchestra stellare” produca globalmente pulsazioni a frequenze più basse di quanto atteso. Secondo gli astronomi, il fenomeno potrebbe essere spiegato (almeno per il gruppo di stelle preso in esame) con la scarsa presenza di stelle di piccola massa – comparabile a quella del nostro Sole – che oscillano mediamente a frequenze più alte.
“Questa considerazione potrebbe significare che la nostra comprensione di meccanismi fisici fondamentali che avvengono all’interno delle stelle è ancora molto approssimativa – spiega Alfio Bonanno dell’Osservatorio Astrofisico di Catania dell’INAF – oppure che le attuali teorie che descrivono la formazione stellare necessitano di una profonda revisione”. Di certo lo studio pubblicato su Science non rappresenta che l’inizio: Kepler dovrà continuare a scrutare circa 170.000 stelle per almeno tre anni e mezzo. “Quello che abbiamo ottenuto finora è solo un assaggio del censimento dettagliato che saremo in grado di fare”, conclude Kawaler. É come un’opera d’arte astratta, destinata con il tempo a diventare un po’ più familiare.
Riferimenti: Science DOI:10.1126/science.1201939