Una mutazione per vincere l’Hiv

Nuove ricerche chiariscono le modalità di infezione del virus dell’Hiv. E acquista sempre più forza l’ipotesi che la velocità con cui progredisce la malattia non dipenda solo dalle caratteristiche del ceppo virale che ha attaccato l’organismo, ma anche dal patrimonio genetico dell’individuo contagiato. Questa ipotesi fornisce da un lato una possibile spiegazione alla speciale resistenza che alcune persone sembrano avere verso il virus, e dall’altro apre la strada a un possibile vaccino e a nuove strategie di cura. Il punto sulle ultime scoperte è stato fatto sull’ultimo numero della rivista britannica “Nature” da Anthony Fauci, direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases (Niaid) a Bethesda (Usa).

L’individuo colpito da un’infezione, in particolare da quella da Hiv, reagisce mobilitando il suo sistema immunitario. L’attività di quest’ultimo è modulata da speciali molecole, le citochine, assai numerose e con un funzionamento molto complesso. La produzione di citochine è proprio una delle caratteristiche dell’organismo ospite in grado di influenzare la velocità di propagazione dell’Hiv. Le recenti osservazioni hanno infatti dimostrato che mentre alcune di queste molecole inibiscono la replicazione del virus, altre la favoriscono. L’avanzare o meno dell’infezione dipende dunque dal bilanciamento tra queste due forze.

Come possa una citochina favorire la moltiplicazione di un virus non è ancora chiaro. Una possibilità è che essa attivi un fattore di trascrizione della cellula, cioè una molecola che permette di esprimere alcuni geni, e che anche l’Hiv sia in grado di sfruttare questo fattore di trascrizione per svilupparsi. Questa osservazione spiega anche come mai la presenza altre infezioni, come la tubercolosi, favorisca la proliferazione del virus. Infatti tali malattie stimolano le difese dell’organismo spingendolo a produrre proprio le citochine che attivano la replicazione dell’Hiv.

Le citochine che inibiscono il progresso dell’infezione invece potrebbero agire impedendo al virus l’ingresso nelle cellule bersaglio. Per penetrare in una cellula l’Hiv deve prima legarsi a delle molecole presenti sulla sua superficie esterna. La più conosciuta tra queste “chiavi” è la proteina CD4. Tuttavia quest’ultima da sola non è sufficiente, e l’Hiv ha bisogno di altri co-recettori. Alcuni co-recettori sono molecole che hanno il compito di legarsi alle citochine. Queste ultime potrebbero sopprimere la proliferazione virale occupando i siti di legame dell’Hiv, impedendogli così l’ingresso nella cellula. Ecco allora come spiegare la particolare resistenza di alcuni individui che non vengono infettati nonostante ripetute esposizioni al virus o che non manifestano i sintomi della malattia a distanza di anni dal contagio. Essi avrebbero dei co-recettori alterati per via di una mutazione nel loro patrimonio genetico, mutazione che l’Hiv non riesce a riconoscere.

L’ipotesi ha già avuto le prime conferme sperimentali, come ci racconta Carl Dieffenbach, della divisione Aids del Niaid e collaboratore di Fauci. “Tutti i nostri studi sulle interazioni fra sistema immunitario e citochine sono stati condotti in vitro”, precisa Dieffenbach. “Le cellule di alcuni individui, usciti indenni da ripetute esposizioni al contagio, non si sono infettate neppure in laboratorio, e su di esse sono stati trovati dei co-recettori alterati. Intendiamo ora proseguire in questa direzione studiando il patrimonio genetico di molte persone resistenti all’Hiv e appartenenti a diversi gruppi etnici. Speriamo così di poter risalire alle cause genetiche che proteggono costoro dall’infezione: del resto questo metodo di ricerca ha già avuto successo per altre malattie, come la malaria”.

Le nuove scoperte aprono il campo a sviluppi molto interessanti e promettenti. Si potrebbe per esempio usare una molecola che si lega stabilmente ai co-recettori per impedire l’accesso dei virus alle cellule. Occorre però tener presente che il sistema immunitario è molto delicato e ben equilibrato. Prima di bloccare parte del suo funzionamento bisogna valutare attentamente le possibili ripercussioni.

“La difficoltà nel mettere a punto la terapia dipende dal fatto che l’Hiv può usare diversi recettori”, prosegue Dieffenbach, “bloccarne uno significa correre il rischio di selezionare ceppi virali in grado di sfruttarne altri. Tuttavia è stato osservato che quando il virus si trasmette per via sessuale, infetta cellule che possiedono un particolare co-recettore. Renderlo inutilizzabile chiuderebbe una delle principali vie di trasmissione dell’infezione ”. Inoltre si potrebbe costruire un vaccino sensibilizzando le difese dell’organismo proprio verso quella parte del virus che si lega ai recettori cellulari. E il primo passo è conoscere perfettamente il gene che li codifica. “La sperimentazione medica dovrà necessariamente cominciare sugli animali”, conclude Dieffenbach, “questa prima fase dovrebbe essere ben avviata entro i prossimi sei mesi. Se tutto procederà senza ostacoli, speriamo di avere nuove possibilità terapeutiche fra un anno e mezzo”.

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