Lo hanno già ribattezzato il Beaubourg della scienza, ma Renzo Piano che lo ha progettato non accetta la definizione: dice che è costato venti volte meno e che non di arte si sta trattando, ma di teorie scientifiche e tecnologia. Sarà, ma l’impatto emotivo della gigantesca chiglia verde rame che esce dall’Oosterdok di Amsterdam con la prua rivolta verso il mare aperto è forte, forse più forte di quello del Beabourg. La si scorge in lontananza alle spalle della Stazione Centrale, ma cosa sia qui in città nessuno lo ha ancora capito bene. La parola newMetropolis non dice ancora niente a nessuno, ma quello che è nato nella stiva di questa nave immaginaria è forse il più bel science center del mondo, sicuramente è il più moderno: la vera evoluzione del primo e mitico, l’Exploratorium di San Francisco.
L’hanno chiamato newMetropolis, il che è già un programma. Il film Metropolis raccontava un’umanità robotizzata vittima di una tecnologia massificante. Il museo newMetropolis vuole incarnare una visione del futuro che non sia cupa e tecnocratica, bensì ottimista, ma che non sia però una adesione beota all’illusione che la tecnologia sia la panacea di tutti i mali.
Belle parole, ma in concreto? Alcuni exhibit sono davvero molto nuovi, altri sono un’evoluzione di quelli già incontrati negli altri science center. Ma la novità è un’altra. Siamo nel cuore dell’Olanda faber.E l’anima protestante, tutta incentrata sul culto del lavoro come produzione, è il nocciolo di questo science center. D’altra parte la base di partenza di newMetropolis è proprio il vecchio Museo del Lavoro nato attorno alla collezione di Herman Heijenbrock, pittore olandese degli anni Venti che dipingeva acciaierie, fabbriche di formaggio, operai all’opera, e raccoglieva gli oggetti della industrializzazione, dai ferri da stiro agli aspirapolvere. Heijenbrock fondò il suo museo nel 1923 e la grande industria olandese continuò ad alimentarlo fino al 1954 quando fu trasformato nel Nint (Istituto olandese per la scienza e la tecnologia). E andò oltre: fino all’inizio degli anni Ottanta, quando all’interno di questo, che era ancora un Museo del lavoro e dell’industria a tutti gli effetti, iniziarono le prime sperimentazioni. E veniva inaugurata anche in Europa quella nuova museografia scientifica che Frank Oppenheimer aveva inventato all’ Exploratorium di San Francisco: la cosiddetta museografia “hands on”, fatta di exhibit, cioè di marchignegni manipolabili dal visitatore che nell’azionarli incontra e comprende le idee della scienza e i fenomeni della tecnologia.
Dal Nint all’attuale configurazione il passo è stato breve: un direttore vulcanico e determinato, Joost Douma, una comunità di industriali decisi a mantenere i finanziamenti, una municipalità che ha fatto rapidamente la sua parte. E in due anni è diventato realtà il sogno di Douma di creare una struttura capace di fornire una “life long education”, una educazione permanente ai cittadini di un mondo in continua evoluzione. Insomma, spiega il direttore della ricerca e sviluppo del museo James Bradburne: «Scienza e tecnologia cambiano rapidissimamente il mondo del lavoro.E non è più sufficiente dare alla gente delle semplici informazioni.Abbiamo bisogno di insegnare quattro abilità fondamentali per capire rapidamente le trasformazioni del mondo del lavoro: capacità di astrarre, di pensare per sistemi, di collaborare, di sperimentare».
Ecco: la vocazione originaria di museo del lavoro e l’anima dell’Olanda faber permangono saldamente alla guida anche di newMetropolis (http://www.newmet.nl/center.html). Qui la scienza e la tecnologia sono lo strumento per insegnare a essere sempre al passo con la produzione. Di piano in piano: dall’energia alla “Casa”, spazio per i bambini dove si può costruire una casa con tutte le sue parti, vedere come funziona la televisione, e così via. Alla zona chiamata “Rings” dove una serie di videogiochi testano quanto siete bravi a giocare in borsa o a scambiarvi informazioni rapidamente.
Ma non ci sono solo le abilità del quotidiano a newMetropolis. La scienza, quella classica degli esperimenti e delle teorie, è la vera padrona di casa: un laboratorio dove organizzarvi le vostre esperienze, una serie di exhibit per mostrare l’enigma della natura della luce, uno schermo capace di fermare una vostra espressione e riproporvela per raccontare come la faccia sia lo specchio dell’identità.
Salendo le scale che Piano ha messo al centro dell’edificio si incontrano tutti gli aspetti dei tempi moderni: dalla borsa alla medicina, alla teoria fisica. E ci si lascia sotto uno spazio enorme e scuro, come l’abisso delle cose che ignoriamo, pieno di aggeggi, come è piena di marchingegni l’avventura della scienza nei secoli. Si sale fino ad uscire allo scoperto, alla luce del giorno in cima alla prua davanti al mare del nord. Se questa luce è quella della conoscenza, viene da pensare che ci siano andati pesanti con i simboli i ragazzi del museo di Amsterdam.