Multimediali o monomediali. Nel rapporto con la cultura e l’informazione, gli italiani sono proprio così: divisi a metà. O lettori curiosi e assidui frequentatori di cinema, esperti di Internet e fruitori di Cd-rom. Oppure appiattiti in un rapporto con l’informazione, mediato soprattutto, se non esclusivamente, dal mezzo televisivo.
Due Italie, dunque, sono quelle che si leggono nella sezione Comunicazione e cultura del 32° Rapporto Censis sulla situazione sociale del paese. Due popolazioni separate e non riconducibili, almeno questa volta, a strette connotazioni regionali. Il bipolarismo culturale sembra riguardare trasversalmente tutta la penisola.
Dopo un anno di monitoraggio sui consumi culturali degli italiani, i ricercatori del Censis hanno individuato quattro profili fondamentali che corrispondono, in definitiva, ad altrettanti gruppi indicativi delle principali modalità di impiego degli strumenti della comunicazione e di accesso all’informazione.
Ci sono i cosiddetti “multimediali”, gente curiosa e dinamica che per tenersi informata e accrescere il proprio bagaglio culturale utilizza mezzi diffusi e diversificati. Sono in leggera prevalenza uomini tra i 20 e i 50 anni, vanno al teatro, al cinema, leggono giornali e riviste, visitano musei e mostre, hanno confidenza con i computer. Appartengono alle fasce sociali medio-alte, ma a distinguerli è più il grado di istruzione che il reddito. In altre parole, sono più spesso colti che ricchi. E rappresentano il 33,7 per cento della popolazione.
Poi ci sono i “monomediali”, che globalmente raggiungono il 66,3 per cento degli italiani adulti. Questi utilizzano prevalentemente un unico strumento per accedere alle informazioni o alla cultura, vanno raramente al cinema o al teatro, non frequentano, se non molto sporadicamente, gallerie o musei.
Quella dei monomediali è, secondo il Censis una categoria articolata, oltre che molto vasta. Questi italiani, infatti, si possono distribuire in tre sottogruppi: i monomediali della narrazione (14,7 per cento) che corrispondono sostanzialmente ai lettori di opere di narrativa, i monomediali dell’informazione (11,7 per cento), in prevalenza uomini in età lavorativa che leggono regolarmente giornali. E poi, dulcis in fundo, lo scandalosamente vasto popolo dei monomediali della televisione.
Per quaranta italiani su cento (ma il loro numero è in costante crescita) il mezzo televisivo è l’unica fonte di informazione e il solo strumento di accrescimento culturale: l’unica chiave di accesso al mondo esterno alla propria realtà. Dalla televisione, questi italiani apprendono le notizie e i commenti, le scoperte scientifiche e le tendenze della moda. La sociologia dei teledipendenti? Hanno livelli di istruzione scarsi ma non sempre altrettanto bassi livelli di reddito. Sono più spesso donne che uomini, e più anziani che giovani.
Ma cosa c’è di nuovo in Italia nella relazione tra società e tecnologie della comunicazione? Secondo l’osservatorio del Censis, in questo contesto sono chiari tre punti. Primo, la tendenza alla progressiva espansione degli strumenti innovativi (Internet, in sostanza). Secondo, la trasformazione degli strumenti consolidati: come il passaggio dalla televisione alla cosiddetta new television, con parabole e decoder). Terzo, la stabilità o contrazione degli strumenti tradizionali (la carta stampata e i libri). Gli internauti, che nel 1996 erano 400.000, oggi sono saliti a 1.450.000. Sta crescendo la domanda degli strumenti della new television, aumentano i titoli di Cd-rom: gli utenti di questi supporti multimediali hanno superato nel 1998 la quota di 3 milioni. I lettori di libri sembrano definitivamente attestati intorno ai diciotto milioni (negli ultimi tre anni non ci sono stati significativi cambiamenti nel mercato editoriale).
A crollare è invece la domanda di informazione stampata: se non fosse per i periodici (mensili, bimestrali e così via), che sembrano reggere le quote di mercato intorno ai 23 milioni, l’intero settore sarebbe in picchiata. Quasi un milione in meno di lettori per i quotidiani fra il 1996 e il 1997, quasi un milione e mezzo in meno per i settimanali tra il 1995 e il 1997.