Nuovi climi, vecchie malattie

Ormai non ci sono più dubbi: la Terra si sta riscaldando, e continuerà a farlo almeno per il prossimo decennio. Le proiezioni parlano di un aumento generale delle temperature di 1- 3,5 °C per il 2010, con inevitabili ripercussioni sull’assetto climatico delle diverse regioni del pianeta. E, dunque, anche sulle condizioni di vita della specie umana, che dovrà adattarsi alle nuove condizioni ambientali: in alcune regioni del pianeta gli inverni si faranno più miti e il clima più umido, in altre le già calde estati si faranno più torride. Ma il riscaldamento globale porterà anche a un aumento di eventi estremi, inondazioni o siccità, che metteranno a rischio la salute, quando non la vita, di molte popolazioni. Se non si è di fronte a una vera e propria emergenza sanitaria, poco ci manca.

L’impatto del riscaldamento globale sulla salute umana è stato uno dei temi centrali della terza conferenza interministeriale su “Ambiente e salute”, che si è svolta a Londra nella metà di giugno con la partecipazione di esperti e ministri dell’ambiente, della salute e dei trasporti di diversi paesi europei. Tra i vari scenari delineati al convegno londinese – inquinamento, qualità delle acque, perdita del patrimonio naturale – quello che riguarda i cambiamenti climatici non è stato certo il più roseo: uno studio dell’Organizzazione mondiale della sanità ha prospettato per i prossimi anni un aumento di patologie di vario tipo, dalle allergie da polline alla malaria, e anche un maggior numero di vittime per alluvioni o ondate di calore.

Il rapporto, pubblicato sul British Medical Journal (http://www.bmj.com/cgi/content/full/318/7199/1682), prende in rassegna diversi studi sugli effetti dei cambiamenti climatici sulla salute dei cittadini europei. Effetti che in parte stiamo già sperimentando: nel corso del secolo in Europa le temperature medie annuali sono aumentate di circa 0,8 °C, con conseguenze più marcate alle medie e alte latitudini. E se il Nord è diventato più umido, nelle aree centrali e mediterranee il clima è sempre più secco. Il fenomeno ha avuto un’accelerazione negli ultimi decenni, con conseguenze drammatiche: nell’87 ad Atene una serie di giornate eccezionalmente calde provocò la morte di duemila persone; un analogo episodio a Londra nel ‘95 fece circa 137 vittime in più rispetto alla media stagionale.

“I cambiamenti climatici possono influire sulla salute in modi diversi”, spiega Roberto Bertollini, direttore della sezione europea dell’Oms e coautore dello studio presentato alla conferenza di Londra. Alcuni effetti sono direttamente legati alle vicende climatiche: è il caso degli eventi catastrofici, come inondazioni e frane dovute alle maggiori precipitazioni, e delle ondate di calore che, così come quelle di freddo, si accompagnano a un aumento di mortalità, soprattutto negli anziani e nei soggetti affetti da malattie cardiovascolari croniche. Ci sono poi degli effetti indiretti, dovuti ai cambiamenti ecologici. In Europa, per esempio, un clima più mite e l’aumento della piovosità potrebbero favorire il proliferare e il diffondersi di insetti responsabili della malaria, della febbre di dengue o della leishmaniosi, malattie caratteristiche di climi tropicali ma che con il riscaldamento globale tenderebbero a spostarsi verso il nord. Ci sono anche casi meno evidenti: per esempio quello dell’encefalite trasmessa dalle zecche, una patologia molto rara che si verifica in Svezia.

“Gli inverni più miti che si sono susseguiti nei paesi scandinavi” racconta Bertollini, “hanno favorito la diffusione di questi insetti. E anche se non si hanno ancora dati certi su un incremento dei casi di encefalite, ne possiamo certamente registrare le precondizioni”. Questo stesso fenomeno si potrebbe verificare per i vettori di altre malattie. In realtà, un aumento della malaria sarebbe già stato registrato in alcuni paesi del sud Europa, come Turchia, Azerbaigian, Armenia, Georgia, ma potrebbe essere legato ad altre cause: per esempio allo scoppio di conflitti e alla creazione di dighe che hanno modificato l’ecosistema. Altri rischi verrebbero poi dalla contaminazione delle falde a causa di inondazioni, dalla insufficienza degli approvvigionamenti idrici e dallo sviluppo negli alimenti di microorganismi sensibili alle variazioni climatiche. Tra gli effetti indiretti, ma non trascurabili, ci sono infine le pollinosi, dovute alla maggiore durata del periodo di impollinazione di alcune piante in virtù del clima più mite.

In misura più o meno grave, questi rischi riguardano praticamente tutti i paesi, non ultima l’Italia. In questo senso, anzi, il nostro è un paese di frontiera, esposto sia a fenomeni estremi come la siccità e le inondazioni, sia alla diffusione di malattie da vettori. La leishmaniosi, per esempio, è presente in alcune zone meridionali, e la malaria lo è stata in passato. “Ciò significa”, spiega Bertollini, “che dei cambiamenti ambientali potrebbero favorire delle recrudescenze. Inoltre, non dimentichiamo che sebbene non vi siano casi di dengue, una febbre emorragica causata dalla zanzara tigre, questo insetto è ormai presente nel nostro paese”.

L’Italia è anche a rischio per quanto riguarda le ondate di calore. Ma anche in questo caso è difficile fare delle stime: oltretutto la soglia del rischio varia a seconda delle popolazioni, ognuna delle quali ha una temperatura ottimale di sopravvivenza. In generale, nel Nord Europa questa è più bassa che nel Sud. Una stessa temperatura, quindi, può essere più o meno dannosa a seconda di dove la si registra. Inoltre, l’impatto delle ondate di calore è difficile da quantificare perché può incrociarsi con altri fattori, per esempio il tasso di umidità e l’inquinamento atmosferici. Tra l’altro, il problema principale sembra essere dovuto non tanto all’aumento delle temperature massime quanto all’ampiezza dell’excursus delle termico fra notte e giorno: l’organismo è più cagionevole se non può godere del fresco notturno.

L’obiettivo dello studio presentato dall’Oms a Londra era stimare la capacità degli attuali sistemi sanitari di far fronte alla situazione, e quindi indicare delle possibili strategie di azione. “In questo momento”, dice Bertollini, “in Europa esistono diversi sistemi di monitoraggio di alcuni singoli fenomeni. Ma, in base alla nostra valutazione, non si è ancora in grado di intervenire precocemente”. In effetti, a Londra è stata approvata una dichiarazione che invita proprio all’integrazione di questi sistemi di controllo, per poter intervenire prontamente laddove si manifestino le prime emergenze. “Di fronte allo scenario prospettato dal riscaldamento globale”, conclude Bertollini, “abbiamo due strumenti: prevenzione e adattamento. Nel primo caso rientrano quelle misure volte a prevenire il cambiamento climatico, per esempio la riduzione delle emissioni di gas serra. Nel secondo, invece, si tratta di iniziative che possono essere intraprese dalle comunità locali per limitare le conseguenze e affrontare le emergenze”.

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