“Un bene comune dell’umanità”

Un bene raro, una merce preziosa, un diritto di pochi. L’acqua – l’oro blu del XXI secolo – in alcune aree del pianeta viene sprecata, inquinata o dispersa e in altre ancora manca. Oggi secondo le stime dell’Organizzazione delle Nazioni Unite un miliardo e 200 milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile. Una su sette solo in Europa. Le colpe vanno ripartite tra l’inefficienza delle amministrazioni pubbliche e la privatizzazione che ha attribuito il monopolio della gestione delle risorse idriche del pianeta ad alcune multinazionali. Che, complici gli organismi internazionali e intergovernativi, si sono lanciate in una vera e propria conquista dell’acqua. La privatizzazione tuttavia non è il modello più efficiente, né il miglior sistema di allocazione di una risorsa scarsa come è stato sancito all’Aja nel 1998, quando l’acqua è stata definita ufficialmente un bene economico. Esistono però delle alternative. Come considerare “l’acqua un bene comune, che non deve essere soggetto a mercificazione e deve essere gestito dalle comunità locali”, ha raccontato in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua Riccardo Petrella, docente di economia all’Università Cattolica di Lovanio (Belgio) e promotore del Comitato Italiano per il Contratto Mondiale sull’acqua.

Quali sono le principali tappe della conquista dell’acqua?

“La conquista dell’acqua è iniziata a partire dalla fine degli anni Settanta, quando alcune imprese multinazionali private e istituzioni internazionali intergovernative o di cooperazione multilaterale hanno assunto un potere decisionale forte in materia di allocazione delle risorse idriche del pianeta e di definizione letterale del termine, cioè cosa deve essere l’acqua e per quali scopi deve essere utilizzata. Parallelamente, lo Stato ha perso il suo ruolo di regolatore della vita sociale a favore dei privati. La crisi del sistema finanziario di Bretton Woods, inoltre, ha innescato un processo di liberalizzazione del movimento dei capitali che ha portato alla deregolamentazione del ruolo dello Stato anche nel sistema finanziario e alla privatizzazione di banche e assicurazioni e ha così permesso al capitale di espandersi a livello mondiale. Le imprese sono quindi diventate gli attori principali del sistema finanziario, mentre le istituzioni internazionali e intergovernative come l’Onu e la Fao hanno perso potere a favore di quelle istituzioni multilaterali, tipo il Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale. Che si sono affermati come organi di gestione dei fondi di investimento e di prestiti verso i Paesi poveri. La banca Mondiale in particolare ha sancito il principio di condizionalità in base al quale ogni prestito viene concesso a condizione di liberalizzare i settori per il quale viene erogato. Così un numero crescente di città dell’Africa, dell’America Latina e dell’Asia negli ultimi 15 anni hanno dovuto attribuire la gestione dei servizi d’acqua alle imprese multinazionali private che nelle gare d’appalto hanno sistematicamente battuto le imprese locali. Oggi due grandi multinazionali dell’acqua francesi – Vivendi e Suez, rispettivamente la vecchia Alpes des eaux e Lionnaise des eaux, sono passate da circa 12 milioni di persone che servivano al di fuori della Francia nel 1980 a più di 120 milioni di persone che oggi servono complessivamente”.

Qual è la situazione dell’acqua in Italia?

“I servizi pubblici sono stati amministrati in modo inefficiente. Quindi chi era favorevole alla privatizzazione ha avuto facile gioco nel dimostrare che il privato è più efficiente, meno corrotto, e offre il minore prezzo. Oggi quindi l’ultima finanziaria ha trasformato le imprese municipali di servizi in società per azioni. Un fenomeno evidente se si considera l’acquedotto pugliese, uno dei più grandi d’Europa, che storicamente è stato amministrato in maniera inefficiente tanto da non garantire acqua. E da registrare in molti casi perdite tra il 40 e il 50 per cento. Già il governo di centro sinistra aveva pensato di cedere la gestione all’Enel, e adesso l’attuale Governo ha deciso di trasferirlo alle Regioni. Dalla fine di quest’anno il capitale è stato trasferito all’87 per cento alla Regione Puglia e al 13 per cento alla Basilicata. Adesso tocca alle due Regioni indire una gara per attribuire la gestione dell’acquedotto a una società per azioni che potrebbe essere a capitale pubblico, privato o misto”.

Qual è la proposta che portate avanti come “Comitato Italiano”?

Noi proponiamo una politica dell’acqua che riparta dai cittadini. Nel mio libro, ‘Il pozzo di Antonio’, incito i cittadini a costituire cooperative locali e ad acquistare le azioni pubbliche in vendita. In pratica la nostra proposta vuole rilanciare la partecipazione da parte dei cittadini agli affari del bene pubblico e, in particolare, del bene comune che è l’acqua”.

Oggi attraverso quali canali si esercita il potere delle multinazionali dell’acqua?

“Prima di tutto facendo cambiare senso alle parole. Basti pensare all’affermazione, ormai accettata anche dalle organizzazioni internazionali, che l’acqua è principalmente un bene economico. E’ un bene comune se nessuno lo tocca (come per esempio la pioggia, le falde, i fiumi), ma se viene trasformato per gli usi agricoli o domestici allora diventa un bene economico nel significato che gli attribuisce l’economia capitalista di mercato”.

Quali poteri dovrebbero essere attribuiti secondo voi al parlamento mondiale dell’acqua?

“Il Parlamento Mondiale dell’Acqua dovrebbe sostituire le attuali strutture tecnocratiche ed economico-finanziarie che gestiscono la politica dell’acqua a livello mondiale su mandato di organizzazioni come la Banca Mondiale. I suoi membri inizialmente sarebbero designati dai Parlamenti nazionali e da Assemblee con riferimento territoriale ai bacini acquiferi internazionali. Il parlamento dovrebbe funzionare da tribunale nei conflitti internazionali sulle risorse idriche e garantire a tutti gratuitamente il minimo vitale, calcolato in 1000 metri cubi all’anno a persona (considerando tutti gli usi) e in 50 litri al giorno per gli usi personali. I consumi ulteriori andrebbero pagati allo Stato in modo progressivo mentre gli abusi verrebbero considerati illegali. I bacini locali potrebbero essere affidati alla gestione di cooperative o a imprese non profit o pubbliche. Il tutto finanziato con denaro pubblico, come si è sempre fatto per le grandi infrastrutture di interesse collettivo. Il Parlamento Mondiale dell’Acqua sarebbe inoltre un’organizzazione tecnocratica ma cittadina: all’organo mondiale si affiancherebbero numerosi parlamenti a livello di bacino che possano risolvere i conflitti locali. Oggi l’unico organo di risoluzione è dell’Organizzazione Mondiale del Commercio che è formato da sole 5 persone con poteri sovranazionali”.

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