Prendere a modello le migliori esperienze internazionali e quelle di eccellenza a livello nazionale per incrementare i livelli essenziali di assistenza (Lea) nel nostro Paese. È la ricetta fornita da 70 dirigenti e manager sanitari di tutte le regioni italiane riuniti dal 23 al 26 ottobre scorso presso il Centro di cultura scientifica “Ettore Majorana” di Erice. A sei mesi dall’entrata in vigore delle normative in materia di prestazioni fornite dal Servizio Sanitario Nazionale (Ssn), infatti, appaiono ancora non bene definiti i termini operativi a cui fare riferimento. “Non affrontare tempestivamente e organicamente la problematica di una razionale determinazione delle priorità in Sanità”, ha affermato Antonio Boccia, ordinario di Igiene all’Università “La Sapienza” di Roma, “potrà portare il Paese a un’involuzione negativa e a una limitazione sempre più stringente dei servizi sanitari per la popolazione, soprattutto per le fasce più deboli e per i cittadini delle Regioni a minore sviluppo socio – economico”.Direttori sanitari e manager concordano, dunque, nel sostenere che per rendere un efficace servizio agli utenti, indipendentemente dalla loro posizione geografica e dalla condizione sociale, è necessario seguire i modelli già sperimentati con successo nelle strutture di primo ordine. “Tutti i Paesi occidentali industrializzati hanno rinunciato all’emanazione di liste, positive o negative, di servizi e prestazioni, poiché questo approccio non è compatibile con la complessità del problema e con l’incessante dinamismo dell’innovazione in campo biomedico e organizzativo gestionale”, ha aggiunto Boccia. Nei Paesi più avanzati si è invece preferito un modello a più ampia partecipazione, investendo su strutture guidate dalle migliori energie scientifiche e manageriali (Agenzie nazionali o regionali di Technology Assessment) che hanno coinvolto anche gli operatori nel processo decisionale.In questo senso aver stabilito dei livelli di assistenza nazionali pone un problema di adeguamento della qualità sanitaria che sembra difficile da ottenere: “A noi sembra”, afferma Boccia, interpretando l’umore dell’assemblea, “che un punto critico debba essere individuato nella reale capacità di governare l’uniformità delle tipologie assistenziali sotto il profilo della corrispondenza ai reali bisogni, all’equità e alla sostenibilità”. Da più parti è stato infatti sottolineato come con il decreto sui livelli essenziali di assistenza, ancora una volta, l’integrazione socio-sanitaria possa essere utilizzata per violare il diritto alle cure sanitarie e per imporre obblighi economici agli Enti locali, allo scopo di ridurre la spesa, generando nuove forme di emarginazione. Nati per uniformare la qualità dell’assistenza sanitaria in tutta la penisola, i livelli essenziali di assistenza, stando agli operatori del settore, rischiano – se non ben strutturati – di aumentare, addirittura, il divario e le disparità.Ai dirigenti ha risposto Maria Donata Bellentani, funzionario amministrativo della direzione generale della programmazione sanitaria del ministero della Salute: “ I Lea rappresentano un punto di arrivo molto importante per i cittadini perché danno trasparenza e certezza su ciò che deve essere erogato dal Servizio Sanitario Nazionale”. La Bellentani ha assicurato che il ministero sta già effettuando un monitoraggio per “rendere effettivi i livelli di garanzia per tutti i cittadini”, e si appresta a costituire una commissione nazionale che, “basandosi sulle evidenze scientifiche, deciderà cosa escludere e cosa inserire nelle prestazioni erogate dal Sistema Sanitario Nazionale”.