Le acque dell’Unione Europea saranno più sicure per delfini e focene. O almeno così promette il Consiglio dei ministri europei che ha accolto di recente le proposte avanzate dalla Commissione circa un anno fa. Si tratta di tre provvedimenti che consentirebbero di evitare, durante l’attività di pesca, la cattura accidentale dei cetacei. Il primo prevede a partire dal 1° gennaio 2008 la graduale eliminazione dell’uso delle reti da posta derivanti nel Mar Baltico, come già stabilito per gli altri mari dell’Ue dal 2002. Il secondo impone alle imbarcazioni di lunghezza superiore ai 12 metri di installare sulle reti dei dispositivi acustici di dissuasione, i cosiddetti “pinger”; il terzo provvedimento infine stabilisce che a bordo di pescherecci di più di 15 metri sia presente un esperto per monitorare le catture accidentali di mammiferi marini. Ma le misure, contestate da Spagna e Italia per la brevità dei tempi di adeguamento (anticipati per i due paesi al 2006 per i pinger e al 2005 per l’imbarco di osservatori), hanno suscitato qualche perplessità anche nell’ambiente scientifico. Abbiamo cercato di capire perché con Alessandro Bortolotto, presidente del Centro Studi Cetacei. Partiamo dall’abolizione delle reti derivanti. È giusto proibire questo tipo di pesca? Che rischi comporta per i cetacei?”Il problema delle reti derivanti (tenute a circa 20-30 metri dalla superficie grazie a dei galleggianti, ndr.) è che non sono selettive, per cui nelle loro maglie può finire di tutto, pesci che non hanno un valore commerciale, tartarughe e anche cetacei. È giusto quindi bandirle definitivamente, anche se non abbiamo una stima valida sul numero di catture accidentali di delfini e focene dovute al loro utilizzo. Non esistono dati sufficientemente attendibili anche per la mancanza di controlli. La questione delle reti derivanti è stata affrontata già a partire dagli anni Novanta quando si stabilì che la lunghezza massima doveva essere di 2,5 chilometri, ma in realtà si è continuato a usare reti lunghe mediamente 12 chilometri con tutti i danni che ciò ha comportato. Bisogna però vigilare anche sui sistemi alternativi di pesca, che possono essere altrettanto pericolosi. Qualche anno fa, per esempio, si trovava in commercio del tonno pubblicizzato come ‘dolphin safe’, ossia catturato con sistemi innocui per i delfini. In realtà il tipo di pesca adottato provocava la cattura di grandi quantità di pesce non ancora in età riproduttiva, causando danni all’habitat marino che si riflettevano anche sulla vita dei delfini”.Passiamo ai “pinger”, l’aspetto più controverso della nuova normativa…”Per evitare che i delfini si avvicinino alle reti da pesca sono stati studiati due sistemi differenti. Uno prevede l’utilizzo di strumenti che riflettono le onde sonore emesse dagli animali; l’altro si basa su dispositivi che emettono suoni in maniera autonoma, come i “pinger” adottati dall’Unione Europea. La loro efficacia è però tutta da dimostrare e recenti studi condotti in Brasile hanno sollevato considerevoli perplessità. Infatti, alcuni esemplari che in un primo tempo si allontanavano quando avvertivano i suoni emessi dai pinger a lungo andare hanno imparato a interpretarli come segnali indicativi della presenza di reti dove trovare pesce di cui cibarsi, rischiando così di finirvi impigliati. È chiaro quindi che servirebbero studi più approfonditi per stabilire l’effetto di questi dispositivi su animali che vivono in un mondo di segnali acustici che ancora conosciamo poco. Non va poi sottovalutato il problema della spesa per l’installazione di questi dispositivi di dissuasione (un costo iniziale di 6.000-8.000 euro per imbarcazione che verrebbe cofinanziato dallo Strumento finanziario di orientamento della pesca, Sfop, ndr.) la cui efficacia come abbiamo detto non è affatto certa. Sembra una soluzione troppo semplice che favorisce i costruttori di pinger, danneggia i pescatori e non risolve il problema”.Il terzo aspetto della normativa riguarda il monitoraggio dei mammiferi marini. Quali metodi sono stati adoperati finora? Può essere utile la presenza a bordo dei pescherecci di osservatori esperti?”Ci sono tre sistemi di monitoraggio: il primo è quello cosiddetto dei ‘transetti lineari’, un metodo statistico che prevede l’annotazione del numero di esemplari incontrati lungo un determinato itinerario. Il secondo si basa sui ‘sonobuoys’, degli strumenti (nati per scopi militari, ndr.) che registrano i suoni al passaggio degli animali, il terzo avviene con l’utilizzo di un aereo da cui si studia la densità della popolazione sempre con sistemi statici. Si tratta di metodi molto costosi e perciò finora poco adottati nel Mediterraneo. Dagli scarsi dati di cui disponiamo possiamo stimare, per esempio, la presenza di 200.000 esemplari di ‘stenella striata’ nelle nostre acque. Per arricchire le informazioni credo sia giusto coinvolgere anche i pescatori, che in fondo conoscono il mare meglio di chiunque altro e puntare a una collaborazione non conflittuale tra chi pesca e chi si preoccupa della tutela dei delfini”.