Un museo MAI visto

Gabriele Borghini (a cura di)Del M.A.I. Storia del museo artistico industriale di RomaICCD, 2005pp.302, s.i.p. Ripercorrere la storia di uno dei musei più travagliati della capitale. E’ questo l’obiettivo del volume “Del M.A.I. Storia del Museo Artistico Industriale di Roma”, che esce a quasi un decennio di distanza dalla giornata di studi ad esso dedicata nel 1996 e che idealmente ne rappresenta il punto di partenza. Una storia che, come ha perfettamente sottolineato il soprintendente del Polo Museale Romano Claudio Strinati, sembra predetta già dall’acronimo del museo, quel “mai” che ha caratterizzato la raccolta sia per quel che riguarda la copertura finanziaria sia per la sede da occupare, da sempre due insormontabili ostacoli per le Belle Arti italiane.Eppure il museo era nato subito dopo Roma Capitale per emulare l’esperienza del South Kensington Museum (Victoria and Albert Museum) di Londra e dell’Union Centrale des Beaux Arts appliquées à l’Industrie di Parigi, istituzioni sorte dopo la metà del secolo e che avevano come obiettivo principale la formazione di operatori qualificati nel settore delle arti applicate. Un’idea, quest’ultima, sostenuta in particolar modo dai due uomini che a buon diritto possono essere considerati i fondatori del M.A.I.: il principe Baldassarre Odescalchi e l’orafo Augusto Castellani, che così speravano di dare nuova vita ad un artigianato di alto valore artistico in cui l’Italia si era sempre distinta.L’apertura avvenne nel 1874 nelle sale dell’ex convento di S. Lorenzo in Lucina, ma già l’anno successivo spettava all’ultimo piano del Collegio Romano, il sottotetto, ospitare l’ingente collezione. In questa sede i manufatti, che andavano dall’antichità al XVIII secolo, rimasero solamente cinque anni per poi passare a via Capo le Case, in un altro ex convento – quello di S. Giuseppe – e continuare così, di trasferimento in trasferimento, fino al 1952, anno in cui venne deciso lo smembramento di una raccolta che a questa data raggiungeva le quasi tremila unità. Nel 1957 i pezzi entrarono nelle collezioni dei Musei Capitolini, del Museo della Civiltà Romana, del Museo Nazionale del Palazzo di Venezia, della Galleria Nazionale d’Arte Antica in Palazzo Barberini, del Museo di Roma, del Museo Nazionale di Castel S. Angelo e dell’Istituto Statale d’Arte Roma I. A dire il vero una certa difficoltà si era avvertita da subito, come testimoniano le lamentele di Baldassarre Odescalchi, che criticò la sordità politica nei confronti del museo da lui promosso ma anche l’ambiente accademico che si opponeva al concetto di “industriale”, un termine che gli stessi insegnanti delle tre scuole annesse al M.A.I. (pittura, plastica, architettura) chiesero venisse eliminato. Un’opposizione che la dice lunga sulla arretratezza culturale di un paese che alla fine dell’Ottecento, notevolmente in ritardo rispetto ad altri stati europei, si trovava ancora in una fase pre-industriale.La pubblicazione, curata da Gabriele Borghini (ICCD), è arricchita da preziosi saggi redatti da coloro che oggi, dirigendo i musei in cui i pezzi sono confluiti dopo lo smembramento dell’istituto, hanno l’onere di conservare il patrimonio dell’ex Museo Artistico Industriale. Il volume è corredato da numerose immagini conservate nella Fototeca Nazionale che permettono al lettore di avere un’idea della varietà di opere che costituivano le collezioni del M.A.I.

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