Il 17 febbraio 2006, il Congresso dei Deputati spagnolo ha approvato la riforma della legge sulla procreazione umana assistita che prevede, tra le altre cose, la possibilità di selezionare gli embrioni geneticamente compatibili a fini terapeutici (il cosiddetto baby designer). Se la norma dovesse passare così come è, sarà possibile per i genitori di un bambino malato, per esempio di leucemia, concepire con tecniche di fecondazione artificiale, che prevedano la scelta dell’embrione adatto allo scopo, un fratello sano dal cui cordone ombelicale estrarre le cellule staminali per curare quello malato. Ancora una volta, come già era accaduto per la legge nazionale che sancisce la possibilità di fare ricerca sugli embrioni sovrannumerari, la spinta alla riforma nasce dalla presa di posizione della Giunta dell’Andalusia, il governo autonomo della regione meridionale, che negli ultimi anni ha inanellato una serie di riforme in favore della ricerca scientifica. E che ora rilancia: nel dicembre 2005 ha approvato un disegno di legge che regolamenta la cosiddetta clonazione terapeutica, norma che adesso viene considerata anche a livello nazionale. Lo ha annunciato, proprio lo scorso 17 febbraio, la consigliera alla Sanità della Giunta andalusa, Maria Jesùs Montero, a Roma per il Congresso mondiale per la libertà della ricerca scientifica (World Congress for Freedom of Scientific Research) promosso dall’Associazione Luca Coscioni. “Per il nostro governo la ricerca scientifica è un’occasione di sviluppo economico e sociale”, ha dichiarato Montero. “Per questa ragione abbiamo stanziato 600 milioni di euro per la ricerca sulla cellule staminali embrionali facendo dell’Andalusia il punto di riferimento europeo in questo settore”.Il gioco d’anticipo dell’Andalusia, e la rincorsa del governo nazionale sulle stesse posizioni, comincia anche a dare i suoi frutti: grazie all’introduzione della legge del 2003 sugli embrioni sovrannumerari a Granada c’è oggi una Banca di Linee Cellulari che è la terza in Europa di tipo pubblico. Se si aggiungono il Centro andaluso di biologia molecolare e medicina rigenerativa (Cabimer) e l’Istituto di ricerca biomedica Principe Felipe di Valenzia, la Spagna del sud può contare sulla “maggiore rete di ricerca biomedica dell’Europa in terapia cellulare e medicina rigenerativa relativamente ad una comunità autonoma”, continua Montero. Uno sforzo apprezzato in prima battuta dal mondo scientifico: c’è chi, come Miodrad Stojkovic, il ricercatore serbo che a Newcastle nel 2004 ha eseguito per la prima volta la clonazione terapeutica umana, ha lasciato l’Inghilterra per trasferirsi a Valenzia; oppure chi, come Bernat Soria, scienziato spagnolo costretto a emigrare a Singapore cinque anni fa per proseguire le sue sperimentazioni sulle cellule staminali embrionali umane nella cura del diabete, è ora potuto ritornare a svolgere il suo lavoro a Siviglia, presso il Cabimer. “Il Principe Felipe non ha eguali per le ricerche sulle staminali embrionali: posso lavorare a fianco di centinaia di scienziati che si occupano delle diverse discipline implicate in questo tipo di studi”, ha affermato Stojkovic, anche lui a Roma per il congresso. “E sono sicuro che in pochi mesi la legge sulla clonazione terapeutica verrà approvata anche a livello nazionale e potrò continuare a fare quello che facevo a Newcastle, ma con maggiori mezzi”.La certezza del ricercatore serbo si fonda sulla fermezza della donna politica. “In base all’articolo 13 dello Statuto di Autonomia, la Comunità ha la competenza esclusiva in materia di ricerca e quindi lo Stato, per quanto impegnato nel coordinamento delle diverse politiche regionali, non può invalidare le iniziative delle Comunità autonome. In più nella legislazione spagnola non esiste nulla che vieti la clonazione terapeutica”, ha concluso Montero. “La nostra legge è nata con l’appoggio dei cittadini: abbiamo svolto indagini e sondaggi che hanno dimostrato la loro opinione favorevole”. Ovviamente, malgrado sia già punita dal Codice Penale, la legge andalusa vieta “tassativamente” la clonazione a scopo riproduttivo: la cellula riprogrammata non potrà infatti svilupparsi oltre i 14 giorni né essere impiantata nell’utero di una donna.