Sarà possibile in futuro riconoscere alle scimmie antropomorfe gli stessi diritti fondamentali degli esseri umani? Se mai ci sarà, l’epocale svolta potrebbe avvenire in Spagna. E’ quanto si augura Francisco Garrido, il deputato socialista che nei giorni scorsi ha chiesto al governo spagnolo di appoggiare gli obiettivi del Progetto Grandi Scimmie, il movimento nato nel 1993 intorno all’idea lanciata da due filosofi, Peter Singer e Paola Cavalieri, nel libro “The Great Ape Project. Equality Beyond Humanity”: estendere agli animali più simili a noi, come appunto i primati, il diritto alla vita, alla libertà, alla sicurezza e integrità individuale. Il passaggio al nuovo status giuridico dovrebbe venire sancito, secondo i sostenitori del progetto, da una dichiarazione delle Nazioni Unite, alla stregua della Dichiarazione Universale dei Diritti umani del 1948.
La proposta spagnola presentata da Garrido in qualità di ambasciatore delle scimmie in Spagna, in realtà, non ambisce a tanto. Il ministro dell’Ambiente Cristina Narbona, salutata in un primo momento come la potenziale artefice della rivoluzione culturale, ha parlato, nelle ultime dichiarazioni, solo di tutela speciale, escludendo l’intenzione di dotare i primati di diritti umani. Si è impegnata però solennemente a prendere tutte le misure necessarie per tutelare l’habitat naturale delle scimmie, evitare maltrattamenti, e impedire l’utilizzo di questi animali negli zoo e nei circhi. “Si tratta comunque di un’iniziativa esemplare”, commenta entusiasta Paola Cavaliere, che da anni dirige la rivista internazionale Etica & Animali, “è da tanto tempo che la discussione intorno alla nostra proposta non raggiunge livelli istituzionali. Molte leggi sono state fatte in tutela degli animali in vari paesi, ma si è trattato finora solo di normative specifiche per impedire lo sfruttamento degli animali in differenti circostanze: sperimentazione, spettacoli, zoo e così via. La richiesta di attribuire alle grandi scimmie il principio di personalità è stata finora avanzata a livello parlamentare solo dalla Nuova Zelanda, che però poi ne ha ridimensionato i principi di partenza”.
Potrebbe adesso toccare alla Spagna portare avanti questa iniziativa, prima che l’estinzione di alcune specie renda inutile ogni sforzo (per l’orango di Sumatra potrebbero bastare 50 anni, secondo stime riportate dall’Atlante mondiale delle Grandi Scimmie, realizzato nel settembre 2005 dall’Onu).Eppure le istanze animaliste faticano da sempre a far breccia nel cuore degli spagnoli e i commenti in terra iberica all’iniziativa di Garrido lo dimostrano. A parte il sarcasmo dell’arcivescovo di Pamplona Fernando Sebastiàn, convinto che chiedere diritti umani per le scimmie equivalga a chiedere diritti taurini per gli umani, sembrerebbe piuttosto condivisa la posizione del presidente della sezione spagnola di Amnesty International Delia Padron: pensiamo a garantire innanzitutto i diritti fondamentali agli esseri umani e poi parleremo del resto. “Le contraddizioni interne agli Stati non mi preoccupano”, sostiene Paola Cavalieri. “La Spagna, paese cattolicissimo, ha dimostrato, consentendo il matrimonio agli omosessuali, di saper portare avanti iniziative radicali. Del resto anche in Giappone, uno dei paesi maggiormente coinvolti nella caccia alle balene, c’è un grande interesse a livello istituzionale sulla possibilità di trasformare i primati da oggetti di proprietà a soggetti titolari di diritti. E questa rivoluzione potrebbe servire da battistrada per ottenere un migliore trattamento anche per altre specie animali”.
Ma qual è il principio giuridico-filosofico alla base del pensiero di Singer e Cavalieri? “Il fondamento del diritto soggettivo”, spiega Valerio Pocar, docente di Sociologia del diritto nella facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Milano Bicocca, “sta nel principio di similarità, secondo il quale il riconoscimento dei diritti avviene in seguito alla constatazione di alcune comunanze e non sulla base di differenze. Se, come è innegabile, gli esseri umani e gli animali condividono una serie di caratteristiche biologiche, quali la capacità di riprodursi, di comunicare, la sensibilità al dolore e al piacere e molte altre, allora è razionale pensare che debbano condividere anche gli stessi diritti fondamentali. Questi ultimi infatti sono riconosciuti agli esseri umani in virtù proprio di quegli aspetti biologici che essi hanno in comune con gli animali”.
La linearità del ragionamento diventa ancora più evidente nel caso delle cosiddette grandi scimmie appartenenti alla superfamiglia Hominoidea, della quale fanno parte, oltre a homo sapiens, scimpanzé (pan troglodytes), gorilla, bonobo e scimpanzé pigmei (pan paniscus) e orangutan (pongo pygmeus). Che però, obiettano gli scettici, non sarebbero in grado in nessun modo di difendere i propri diritti nel caso in cui questi gli venissero negati. “La necessità di stabilire diritti di portata universale”, prosegue Pocar, “scaturisce proprio dall’esigenza di tutelare i più deboli, altrimenti non si farebbe altro che assecondare la legge del più forte. I diritti, per essere validi, non richiedono a chi li detiene la capacità di poterli difendere. Così accade per i neonati, i cerebrolesi, i malati con disturbi cognitivi e per tutti coloro che si trovano nell’impossibilità di reagire ai soprusi”. La seconda tappa del Progetto Grandi Scimmie prevede la realizzazione di organismi istituzionali con la funzione di guardiani dei diritti degli animali. A questi spetterebbe il compito di colpire le eventuali violazioni e trovare soluzioni dignitose a tutti gli individui riscattati dalle precedenti condizioni di cattività e sfruttamento.