Se le possibilità di carriera nel mondo accademico sono ancora limitate per le donne, la situazione peggiora se queste sono immigrate o provengono da minoranze. Lo rivela un rapporto condotto in sette paesi europei (tra cui l’Italia), che contiene varie raccomandazioni per le istituzioni accademiche e i centri di ricerca.
Il rapporto è stato finanziato dal Sesto programma quadro per la ricerca, e per l’Italia è stato condotto dall’Università di Bari. Gli altri paesi coinvolti sono Belgio, Olanda, Regno Unito, Germania, Bulgaria e Portogallo. Il problema principale per l’inclusione di donne provenienti da minoranze è il doppio stereotipo che ancora ostacola le loro carriere. Per questo le università dovrebbero fare di più per affrontare il problema, dotandosi di piani di azione specifici per promuovere la diversità e la multiculturalità. Come viene suggerito, si tratta di un’evoluzione che beneficerà non soltanto le donne e gli appartenenti a minoranze, ma le istituzioni di ricerca in generale, che potranno così sfruttare appieno le loro potenzialità.
Nonostante una pesante mancanza di statistiche sia per il settore pubblico e soprattutto per quello privato, i dati mostrano che il livello di educazione dei migranti sta progressivamente aumentando, anche se Italia e Portogallo hanno ancora i livelli più bassi. In particolare, le donne migranti dimostrano di avere un livello di educazione maggiore. Viene anche rilevato che in generale i migranti sono molto spesso sovra-qualificati rispetto al posto che occupano, soprattutto per quanto riguarda gli immigrati di recente arrivo e che occupano posti non qualificati. In Italia, sono soprattutto le donne a essere sovra-qualificate.
Colpisce invece la scarsità di donne provenienti da minoranze all’interno del personale delle università. Queste sono 19 nell’intera Olanda, paese che ha fatto delle politiche d’integrazione uno dei suoi migliori biglietti da visita, e la loro presenza nell’intero staff accademico olandese è dello 0,027 per cento. In Italia, le donne straniere sono titolari soprattutto di cattedre di lingua, ma provengono più che altro dall’Unione Europea. Il rapporto evidenzia che c’è più discriminazione nei loro confronti in quanto donne e non in quanto straniere.
Preoccupa anche il fatto che non ci siano da noi come in altri paesi delle politiche attive per la loro inclusione. A volte succede anche che in sede di reclutamento, vi siano stati fenomeni di razzismo, e che nella maggior parte dei casi le pratiche di assunzione abbiano un’alta discrezionalità e non
siano affatto trasparenti. Miglioramenti potrebbero venire dalla creazione di reti di scienziati ‘etnici’, che potrebbero farsi promotori delle carriere femminili. Questo sono però ancora molto rare, fatta eccezione per il Regno Unito. La creazione di queste reti servirebbe a diffondere maggiori informazioni sulle donne scienziato provenienti da minoranze o immigrate, stilando classifiche, e aiutando gli organi di governo accademici a prendere maggiore coscienza della dimensione etnica e di uguaglianza nelle loro politiche di reclutamento ed educazione. (DIRES-DIRE)