Ogni settimana vengono pubblicati articoli scientifici che presentano piccoli o grandi avanzamenti in campo medico-chirurgico. Alcuni vantano promettenti, se non rivoluzionarie, applicazioni future. Ma quanto tempo è necessario affinché le scoperte trovino effettivo impiego? In media si devono attendere 15 anni. Questa la risposta di uno studio, pubblicato su Science, condotto da medici americani (Tufts University School of Medicine e George Washington University School of Medicine) e greci (University of Ioannina School of Medicine e Ioannina Biomedical Research Institute).
I ricercatori, utilizzando il database Web of Science (archivio ufficiale delle pubblicazioni scientificamente riconosciute), hanno preso in considerazione 49 innovazioni del campo medico uscite tra il 1990 e il 2004 su riviste indicizzate, con più di mille citazioni. Gli scienziati hanno, quindi, misurato il tempo trascorso dalla prima comunicazione ufficiale della scoperta (preparazione, isolamento o sintesi di un principio farmacologico) alla prima pubblicazione riguardante l’applicazione pratica.
I risultati non sono incoraggianti: il lasso di tempo varia da 14 a 44 anni, con una mediana (cioè il valore che “taglia” in due la distribuzione) di 24 anni e una media – come è stato anticipato – di 15 . Se la scoperta è stata confutata da un’altra pubblicazione, poi, il tempo si dilata fino anche a 50 anni. È il caso degli studi su flavonoidi, vitamina E ed estrogeni, i cui benefici erano stati descritti almeno quattro decenni prima dell’inizio del loro utilizzo in campo farmacologico negli anni Novanta. Ma il dato più sconcertante è che, se si considera l’applicazione finale sugli esseri umani (dunque non solo l’applicazione pratica su cavie da laboratorio), il tempo può arrivare 221 anni.
Gli autori suggeriscono di non affrettarsi a pubblicare risultati di ricerche di base sbandierando future applicazioni sui malati. Non prima, almeno, di aver ripetuto ampiamente gli esperimenti con tecniche standardizzate. Altrimenti la scienza rischia di perdere di credibilità per quelle promesse mai mantenute. (i.n.)