Ispra: allarme biodiversità

Perdita di biodiversità, rischio di frane elevato e progressiva salinizzazione delle coste. Sono questi tre dei temi caldi affrontati oggi nel corso della presentazione dell’Annuario dei dati ambientali 2009 dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale).

Per quanto riguarda il primo punto, lo sguardo di insieme che emerge dal rapporto è tutt’altro che positivo. Il numero delle specie di vertebrati minacciate oscilla tra il 47,5 e il 68,4 per cento (a seconda delle analisi di diversi autori contenute nelle Liste Rosse sullo stato di conservazione delle specie animali). In particolare, oltre il 40 per cento delle specie di pesci delle acque interne risulta fortemente in pericolo, come anche il 23 per cento degli uccelli e il 15 per cento dei mammiferi. Ad aggravare la situazione è anche il fatto che una su tre delle specie ittiche e una su sei delle specie di rettili sono endemiche, ovvero si trovano esclusivamente in Italia. Va ancora peggio ai rettili, con oltre il 66 per cento di specie in pericolo.

Non esiste, al momento, un’analoga analisi dello stato di conservazione degli invertebrati, ma si stima che il rischio di estinzione sia estremamente più elevato a causa della loro forte specializzazione e la limitata estensione dei loro areali. Non va meglio al regno vegetale: nell’atlante delle specie a rischio di estinzione si contano 1.020 specie (diciannove in più rispetto al 1997). Questo numero significa che il 15,2 per cento della flora italiana potrebbe scomparire.

Stimata anche la perdita di biodiversità in ambito agricolo sulla base di uno studio di BirdLife International, European Bird Census Council e Royal Society for the Protection of Birds sull’andamento degli ultimi 40 anni. I ricercatori hanno seguito lo stato di 124 specie di uccelli tra le più diffuse in Europa: 54 di queste si sono ridotte in numero. In particolare, 33 si sono dimezzate in soli 25 anni. In Italia risultano in pericolo soprattutto la rondine, il balestruccio, il beccamoschino, il saltimpalo, l’allodola, l’averla piccola, la ballerina bianca, la passera d’Italia e la passera mattugia. Le cause, si legge nel rapporto, sono antropiche.

Nelle aree costiere, la perdita di biodiversità è causata anche dalla salinizzazione – considerata uno dei fattori principali della desertificazione. Il fenomeno, che consiste l’accumulo di sali nel suolo, può infatti giungere a un livello tale da compromettere l’attività vegetativa e produttiva delle colture. Secondo un’indagine conoscitiva dell’Università di Palermo, i suoli salini si trovano soprattutto in Sicilia, dove la problematica interessa circa il 10 per cento del territorio, ma anche nella bassa Pianura Padana, lungo il litorale tirrenico e adriatico e nelle fasce costiere di Puglia, Basilicata e Sardegna.

Con la scomparsa della vegetazione aumenta il rischio di frane. Già oggi oltre i due terzi del Bel Paese è soggetto a erosione idrica. Negli ultimi decenni, infatti, l’aggressività delle piogge, con scrosci molto intensi e ravvicinati nel tempo, ha acuito il fenomeno. Con il risultato che almeno il 30 per cento dei suoli italiani presenterebbe un rischio superiore alla soglia di tollerabilità. (t.m.)

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