Il caso della Deepwater Horizon sta assumendo i contorni di un romanzo alla John Grisham. Infatti, secondo quando riportato sulla rivista Nature da alcuni ricercatori indipendenti, la BP non distribuisce ormai da mesi i campioni di petrolio necessari per condurre ricerche sugli effetti del disastro.
Di petrolio, dal pozzo sottomarino, ne sono usciti circa 750 milioni di litri. Sia la compagnia petroliferia sia il governo statunitense hanno raccolto numerosi campioni dell’oro nero. Di questi campioni, pochi sono finiti nella mani dei ricercatori indipendenti, e attualmente la loro distribuzione sembra essere completamente bloccata. Da settembre, infatti, dopo aver tergiversato in diversi modi davanti alle richieste di campioni, la BP ha cominciato a rispondere con una lettera standard in cui spiegava che le domande sarebbero state evase con notevole ritardo, in attesa della messa a punto di un protocollo ad hoc per la distribuzione del materiale. La missiva prometteva, in teoria, che l’azienda avrebbe sviluppato un protocollo entro poche settimane, ma nessuna data è stata mai stabilita.
L’alt è determinato, secondo le parole della portavoce della compagnia, Hejdi Feick, da due fattori, principalmente. Il primo sarebbe l’ordinanza di un giudice federale mirata a impedire la distruzioni di possibili prove in caso di un procedimento legale. Ordinanza che, tuttavia, non parla esplicitamente dei campioni. Il secondo fattore è la necessità della stessa stessa BP di avere petrolio sufficiente per realizzare eventuali analisi da portare in tribunale.
Anche le agenzie governative statunitensi, come la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), e le aziende a esse legate, hanno raccolto una notevole quantità di petrolio per valutare il danno ambientale causato dal disastro. Inizialmente queste agenzie avevano risposto positivamente alla richiesta di piccole quantità di petrolio per fini di ricerca, come spiega Greg Baker della NOAA. Anche loro hanno ritenuto opportuno interrompere la distribuzione per assicurarsi che ci fosse petrolio a sufficienza per le analisi legali. “Al momento ci sono circa 2.000 litri di petrolio disponibili per questa necessità”, ha spiegato Baker, “e la BP ne ha almeno altrettanto – e probabilmente molto di più”. La compagnia, però, si è rifiutata di quantificare precisamente le sue riserve.
Alcuni ricercatori, come Andrew Whitehead, biologo della Louisiana State University in Baton Rouge, vorrebbero a questo punto raccogliere loro stessi i campioni: “La mancanza di materiale di studio potrebbe impedire di portare a termine ricerche importanti”, ha spiegato Whitehead. Gli scienziati temono però che quest’azione possa avere qualche limite legale e che, di conseguenza, i risultati delle loro analisi possano essere ritenuti prove non valide in sede di processo. Ira Leifer, della University of California – Santa Barbara e membro della task force governativa che ha stimato il tasso di fuori uscita del petrolio, ha cominciato a chiedere campioni nei giorni immediatamente successivi all’inizio della fuoriuscita senza successo. Il ricercatore ha spiegato che per ottenere i campioni dalla BP avrebbe dovuto firmare un consenso alla non diffusione dei dati che avrebbe impedito il corretto utilizzo dei risultati degli studi. Secondo Leifer, la riluttanza della compagnia petrolifera nel rilasciare i campioni potrebbe essere una tattica tesa a minimizzare le informazioni disponibili sull’impatto del disastro.
Riferimenti: Nature