È un vero e proprio museo a cielo aperto quello che si è rivelato al paleontologo Alfredo Coppa della Sapienza, durante una fortunata campagna di scavi in Dancalia (Eritrea), nel bacino sedimentario di Buya: frammenti di un cranio e una distesa di centinaia di manufatti in pietra che qualche ominide ha scolpito un milione di anni fa e che la terra ha poi ricoperto.
Che il luogo fosse promettente lo si era già capito più di un anno fa, quando il ricercatore aveva ripreso gli scavi cominciati 15 anni prima (vedi Galileo, “Nuovi fossili per Homo erectus”). Il sito aveva già restituito nel 1995 il cranio di un Homo ergaster/erectus perfettamente conservato: “La signora di Buya“. Poi, nel gennaio del 2011, c’è stata la scoperta di ossa appartenenti a un secondo cranio e, nei mesi scorsi, di un terzo. Ora, con l’inizio dello scavo sistematico, siamo di fronte al quarto.
Coppa e la sua équipe chiamano il sito il “Santuario delle amigdale”, e a ragione, visto che è uno dei luoghi a più alta concentrazione di manufatti litici risalenti a un periodo tanto antico. Si tratta di pietre levigate (bifacciali o amigdale, appunto, attribuite alla cosiddetta industria acheuleana) di basalto, scisti (rocce che, come l’ardesia, si sfaldano secondo piani paralleli), selce (rocce sedimentarie composte di silice) e quarzite (rocce composte soprattutto da quarzo).
Sembra che, nel tempo, questi manufatti si siano depositati sul fondo di un canale; ora si ritrovano sparsi una superficie di circa 400 metri quadrati. Il loro valore archeologico è aumentato dal fatto che finora sono stati trovati ben pochi reperti databili un milione di anni fa in questa zona dell’Africa così prossima alla Rift Valley, ovvero al luogo in cui sono stati rinvenuti importantissimi fossili, come quelli dell’australopiteco Lucy.
Tornando ai resti fossili dell’ominide, il gruppo di Coppa ha ricostruito, ad oggi, buona parte delle ossa parietali; inoltre, hanno ritrovato un frammento di un osso temporale e un molare. Dalle prime analisi, sembra esistere una forte somiglianza con gli altri crani, in particolare con quello della Signora di Buya. Questo suggerisce che ci troviamo di fronte a “un’unica popolazione con caratteristiche simili che ha lasciato le sue tracce in almeno due insediamenti distanti circa 10 chilometri”, riportano i ricercatori. Va ricordato, inoltre, che in questa area sono stati già riconosciuti, sebbene non ancora studiati, una trentina di altri insediamenti
“Ora la parola passa alle tecnologie”, ha aggiunto il paleontologo: “I nuovi reperti, come già i denti incisivi trovati nel corso delle precedenti campagne, andranno al Sincrotrone Elettra di Trieste che ne analizzerà la microstruttura. Sarà possibile anche verificare il modello di espansione della regione cranica parietale che sembra caratterizzare anche questi nuovi ritrovamenti”.
Al progetto, hanno partecipato i ricercatori della Sapienza, dell’Eritrean National Museum di di Asmara, delle Università di Firenze, Padova, Torino, Ferrara, Bologna, del Museo Pigorini di Roma, dell’Università di Barcellona e del Museo Nazionale di Storia Naturale di Parigi.