Il nostro Sistema solare ha in serbo ancora molte sorprese. Prendiamo Venere: dagli anni ’60 si sa che è quasi privo di campo magnetico, il che significa, per esempio, niente aurore polari. E invece sì, in realtà sono possibili. Ce lo dicono gli ultimi dati della sonda spaziale Venus Express dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa), riportati sulle pagine di Science.
Analizzati dal team di Tielong Zhang, astrofisico dell’Università della Scienza e della Tecnologia della Cina e Principal Investigator del Venus Express Magnetometer (MAG), i dati dicono per la precisione questo: il comportamento del gas ionizzato e del debolissimo campo magnetico di Venere è quello caratteristico della cosiddetta riconnessione magnetica.
Ora, questa riconnessione magnetica è proprio il fenomeno alla base delle aurore polari, ed ecco perché: il vento solare (cioè il flusso di particelle cariche provenienti dal Sole) sposta il campo magnetico dei pianeti, comprimendolo da un lato e tirandolo come una sorta di elastico dall’altro. Quando l’elastico viene rilasciato, e dunque il campo magnetico torna al suo stato naturale, viene liberata una grande quantità di energia. Questa energia accelera gli elettroni verso gli strati più alti dell’atmosfera, dove si formano gli spettacolari giochi di luce.
Fenomeni di riconnessione sono stati osservati nelle magnetosfere di quei pianeti caratterizzati da un forte campo magnetico: Mercurio, Giove, Saturno, oltre alla nostra Terra. Attorno a questi pianeti, il campo magnetico deflette le particelle cariche del vento solare e crea una bolla protettiva che si allunga in una coda magnetica nel lato opposto al Sole. È esattamente qui che si verifica la riconnessione.
Bene, per la prima volta questi processi vengono osservati su un pianeta privo di campo magnetico intrinseco come Venere. Soltanto un sottile strato di atmosfera scherma la sua superficie dal vento solare, eppure, il pianeta mostra ugualmente una coda magnetica opposta al Sole.
In questo modo si forma una magnetosfera indotta che protegge Venere dal vento solare, ma occupa un volume dieci volte più piccolo di quella terrestre. Di conseguenza, i processi di riconnessione si verificano, lungo la coda magnetica, a una distanza assai minore dal pianeta, e questo spiega perché la precedente missione Pioneer Venus non era stata in grado di misurarli.
Riferimento: Science DOI: 10.1126/science.1217013
Via wired.it