Dopo lo stop imposto alla ricerca per due mesi, gli ultimi dati sul virus dell’influenza aviaria hanno avuto il via libera da parte della comunità scientifica. Le informazioni relative ai meccanismi evolutivi di H5N1 sono apparse in uno studio pubblicato su Nature dall’équipe del virologo Yoshihiro Kawaoka. Secondo i primi risultati, basterebbero poche modifiche alla struttura di un recettore proteico per fare sì che la malattia si possa diffondere da un essere umano all’altro (e, mutando ancora, diventare uno dei virus più pericolosi della storia umana).
Il meccanismo al centro degli studi di Kawaoka riguarda la emoagglutinina (Ha), una proteina virale in grado di riconoscere i recettori cellulari umani nei tessuti polmonari. Gli studi condotti sui furetti hanno rivelato che alcuni ceppi mutati di H5N1 possono infettare gli animali e, successivamente, essere trasmessi anche attraverso gocce di saliva disperse nell’aria. Gli scienziati hanno fuso tutti i caratteri infettivi in un virus sintetico in grado di replicarsi negli animali e causare lesioni polmonari. Tuttavia, questo supervirus non risulta mortale e non è considerato altamente patogeno.
I risultati ottenuti con le cavie animali sono stati confermati anche da alcune prove condotte su colture di cellule umane. Esisterebbero ben sette forme di H5N1 che possiedono quattro diverse mutazioni in grado di riconoscere l’acido sialico legato ai recettori proteici localizzati nei tessuti delle vie respiratorie. Ma il dettaglio più importante riguarda il fatto che il processo di ricombinazione utilizzato dal team di Kawaoka potrebbe riprodursi casualmente anche in natura.
In sostanza, l’ultimo supervirus sintetizzato dai ricercatori non è altro che una base di studio per consentire alla comunità scientifica di guadagnare tempo e prevedere fin dove potrà spingersi H5N1. Infatti, dopo la prima comparsa del virus a Hong Kong nel 1997, la malattia ha continuato a evolvere attraverso continui eventi di ricombinazione. Un giorno, nuove forme altamente infettive potrebbero causare una pandemia in grado di mandare in tilt il nostro sistema immunitario.
Il fatto di aver reso pubblici i dati della ricerca di Kawaoka aveva tormentato gli editori di Nature per qualche mese. Lo scorso agosto, il giornale scientifico si era chiesto se diffondere le informazioni sul supervirus non fosse troppo rischioso. La possibilità che alcuni terroristi potessero costruire un’arma letale grazie alle informazioni contenute nel testo sembrava un pericolo abbastanza fondato. Ma alla fine ha prevalso la linea dell’open science: rendere accessibili i dati su H5N1 aiuterà gli scienziati di tutto il mondo a contrastare un’eventuale pandemia.
Nel frattempo, l’Organizzazione mondiale della sanità (Who) tiene sotto stretta osservazione tutti i focolai di infezione sparsi per il mondo. Nel momento in cui dovesse emergere una forma altamente contagiosa di H5N1, gli scienziati potrebbero essere pronti ad adottare le giuste misure di contenimento e prevenzioni necessarie a scongiurare gli scenari peggiori. Negli ultimi 10 anni l’aviaria ha causato 355 morti, con un tasso di mortalità pari al 60 per cento. Certo, i numeri sono ancora limitati, ma la pericolosità del virus non va sottovalutata.
via wired.it
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