Buone notizie in tempi di Datagate. Le comunicazioni elettroniche del futuro potrebbero essere molto più difficili da “spiare” di quanto non lo siano oggi. E tutto grazie alle bizzarre e controintuitive leggi della meccanica quantistica: lo spiegano su Nature i ricercatori della Stanford University, che hanno costruito un’infrastruttura semplice ed economica per assicurare la sicurezza nello scambio di informazioni su una rete quantistica. La nuova tecnica si basa su un modello sviluppato negli anni Ottanta, la cosiddetta distribuzione di chiavi quantistiche (Qkd), straordinariamente efficace nella protezione di dati riservati, ma finora applicabile solo a reti di piccole dimensioni. I ricercatori sono riusciti ad ampliare la portata del sistema fino a 64 utenti, semplificandone l’architettura e riducendone i costi. E sperano di arrivare anche oltre.
Nella Qkd, il mittente di un messaggio invia al destinatario una “chiave” – lo strumento che serve a decodificare l’informazione – fatta di stati quantistici, come la polarizzazione di uno o più fotoni. In virtù del principio di indeterminazione di Heisemberg, ogni qual volta un terzo utente – lo “spione” – cerca di inserirsi nella comunicazione e decodificare il messaggio, i fotoni vengono irrimediabilmente distrutti, perdendo per sempre l’informazione che portano con sé. Per questo motivo, la Qkd è ritenuta un metodo di criptazione praticamente inattaccabile.
Lo sviluppo di architetture di questo tipo, finora, era stato fortemente limitato da costi eccessivi e difficoltà eccessive nell’inserimento delle reti esistenti. Gli scienziati di Stanford hanno aggirato il problema, creando delle sottoreti – i cosiddetti hub – ciascuna dotata di un proprio rivelatore di fotoni, lo strumento necessario alla ricezione e interpretazione della “chiave”. In questo modo, più utenti possono condividere lo stesso fotorilevatore e utilizzarlo per lo scambio dei messaggi. Attualmente, il metodo è stato testato su reti di medie dimensioni, fino a 64 utenti, ma i ricercatori sono già al lavoro per cercare di semplificare ulteriormente l’architettura, estendendo il numero di collegamenti di ciascun hub. Se dovessero riuscirci, i Grandi Fratelli di tutto il mondo dovranno inventarsi qualcosa di nuovo.
Riferimenti: Nature doi:10.1038/nature12493
Credits immagine: Ethan Hein/Flickr