7 miliardi di euro e 110mila posti di lavoro bruciati a causa dei riciclo illegale di rifiuti e contraffazione. Sono i preoccupanti risultati che emergono da uno studio Eurispes–Polieco, il consorzio nazionale per il riciclaggio dei rifiuti dei beni a base di polietilene. Il lavoro, che sarà presentato in occasione della quinta edizione del Forum internazionale sull’economia dei rifiuti, in programma a Ischia il 20 e 21 settembre, fotografa lo stato dell’arte della produzione di materie plastiche a livello mondiale e analizza le problematiche dovute al loro cattivo riciclo e smaltimento. Con particolare attenzione sulle ricadute economiche e sanitarie legate all’importazione di beni prodotti con rigenerato di dubbia origine. L’obiettivo è di informare e sensibilizzare l’opinione pubblica a una cultura del riciclo legale, perché le plastiche possano trasformarsi da problema a risorsa. Ed essere utilizzate per dare linfa a una economia verde in grado di creare sviluppo e occupazione nel pieno rispetto dell’ambiente.
Ecco i dati. Da dieci anni a questa parte, evidenzia lo studio, la produzione di plastica è aumentata nel mondo (+3,7%) e in Europa (+1,7%). E, di conseguenza, sono cresciuti anche i rifiuti prodotti: “nel 2011”, dicono all’Eurispes, “di tutta la plastica richiesta dal mercato nell’Ue-27, è stato intercettato un quantitativo di rifiuti pari a 25,1 milioni di tonnellate, in aumento del 2,4% in più rispetto al 2010, più che doppio rispetto al tasso di crescita delle plastiche vergini”. Di tutta questa monnezza, poco meno della metà è finita nelle discariche. La quota residua è stata destinata a recupero di materia o produzione di energia.
Purtroppo, i rifiuti plastici non sempre vengono smaltiti come dovrebbero. E a farne le spese sono i Paesi più poveri:“Il 25% delle spedizioni inviate dall’Ue ai Paesi in via di sviluppo di Africa e Asia avviene in violazione alle normative internazionali”. Se evitassimo di esportare illecitamente questi materiali e adottassimo pratiche di riciclo sostenibile, fanno notare gli esperti, otterremmo “un risparmio notevole e un minor depauperamento di ambiente e risorse nell’ottica della sostenibilità e di un approccio etico all’attività umana”.
Ma c’è anche di peggio. Perché quello che esce (più o meno legalmente) dalle nostre dogane vi rientra poi sotto forma di beni contraffatti e/o pericolosi, con ingenti ricadute su salute, occupazione ed economie nazionali. Basti pensare che le stime sul mercato della contraffazione in Italia parlano di un giro d’affari di circa 7 miliardi di euro, che comporta minori entrate fiscali per 1,7 miliardi e una perdita di 110mila posti di lavoro. Tra i settori più colpiti quelli del made in Italy, cioè abbigliamento e accessori (2,5 miliardi di euro) e agroalimentare (1,1 miliardi di euro). Ma anche cd, dvd e prodotti informatici tarocchi: sette volte su dieci, i prodotti sequestrati vengono dalla Cina. Si tratta purtroppo di un meccanismo oramai collaudato e in costante aumento con il passare degli anni.
Per affrontare e risolvere il problema, secondo gli esperti, è necessario “ripensare il concetto di rifiuti in termini di materiali, ossia valorizzando la risorsa da un punto di vista tecnico-economico”, e “concepire il territorio non solo come elemento di qualità ambientale, ma anche come punto di partenza per un rinnovato impulso del settore in chiave green”. E bisogna mettersi al lavoro subito, come mette in guardia Gian Maria Fara, presidente dell’Eurispes: “Non è azzardato ipotizzare che nel prossimo futuro assisteremo a una guerra delle plastiche, dalla quale uscirà vincente solo chi si sarà dotato degli strumenti idonei al recupero di materia, al riciclo dei rifiuti e al loro utilizzo”. La strada, dunque, sembra essere questa. Cerchiamo di non farci trovare, ancora una volta, impreparati.
Via: Wired.it
Credits immagine: Burns Library, Boston College/Flickr