Nei fumetti, nei meme, nella musica e, soprattutto, nella storia della fisica. Da oggi però il bosone di Higgs entra ufficialmente anche nella lista dei premi Nobel, con l’annuncio arrivato da Stoccolma che il maggior riconoscimento per la Fisica va a Peter Higgs e François Englert “per la teorizzazione di un meccanismo che contribuisce alla nostra comprensione dell’origine della massa delle particelle subatomiche, e che è stato recentemente confermato dalla scoperta della particella fondamentale prevista, grazie agli esperimenti Atlas e Cms del Large Hadron Collider del Cern”. Insomma, per aver ipotizzato l’esistenza della sfuggente particella, acciuffata dopo una corsa durata quasi mezzo secolo, con l’ annuncio della scoperta arrivato il 4 luglio 2012 da parte dei ricercatori dell’Lhc.
Assegnazione, quella del premio Nobel della Fisica, tutt’altro che inattesa, e al contrario avvenuta sotto certi aspetti anche in ritardo, per alcuni. Di circa un anno, quando il carattere recente della scoperta e la necessità di accumulare ulteriori conferme avevano rimandato la premiazione. Arrivata oggi puntuale a coronare una pietra miliare della fisica. Perché sia tanto importante il bosone di Higgs, tanto da valere un premio Nobel, è presto (o quasi) detto.
Partiamo dal Modello Standard, una teoria che descrive le particelle elementari dell’Universo visibile e il modo in cui interagiscono. Questo modello però non riesce a spiegare l’origine della massa di queste particelle, a meno che non lo si modifichi chiamando in causa un meccanismo che propone l’esistenza di una particella la cui natura è quella di conferire massa a tutte le altre: il bosone di Higgs, dal nome di Peter Higgs che negli anni Sessanta, insieme a François Englert e Robert Brout (deceduto nel 2011), ne postulò l’esistenza – e per questo per alcuni il nome della particella dovrebbe ricordare i diversi contributi.
Con l’esistenza del bosone, il Modello Standard (e quindi il modo con cui pensiamo che le particelle interagiscano) funzionava ancora, ma per convalidare la teoria era necessario osservare questaparticella, a lungo rimasta l’unica della teoria a mancare all’appello, a non essere osservata. È stato necessario far scontare fasci di protoni ad alta energia all’interno di giganti acceleratori di particellecome l’ Lhc per aver speranza di trovarla, nascosta tra tutte le particelle note, osservando i suoi prodotti di decadimento (l’Higgs infatti è instabile). Ma anche i prodotti di decadimento non sono specifici del bosone e la sua massa elevata (nella regione intorno ai 126 GeV) ha complicato ulteriormente la caccia.
Dopo anni passati alla ricerca di segnali in corrispondenza di questa regione di energia, nella speranza di accumulare dati che non fossero solo dovuti al caso, lo scorso luglio è arrivato l’annuncio da parte del Cern di Ginevra: due esperimenti indipendenti, Atlas e Cms del potente Lhc (guidati, rispettivamente da Joe Incandela e Fabiola Gianotti), avevano trovato indizi per poter affermare, con ragionevole certezza, di aver individuato la sfuggente particella. “Forti indicazioni della presenza di una nuova particella attorno alla regione di massa di 126 GeV”, era stato il cauto annuncio, seguito nei mesi a seguire dalle prime conferme, dubbi e poi ancora conferme che avevamo portato a credere che dopo lungo cercare quella avvistata da Atlas e Cms fosse proprio la ricercata particella.
Trovato il pezzo mancante (al Modello Standard) la fisica delle particelle è ben lungi dal mettersi al riposo. Dopo oltre un anno dall’annuncio della traccia ricollegabile al bosone, resta da capire bene se si tratti di una particella che si comporta come le attese o se abbia qualche caratteristica diversa, verificando come funziona il meccanismo di Higgs (come ci aveva detto a suo tempo Fabiola Gianotti). E poi ci sono tutte le altre particelle sfuggenti, come quelle previste dalla teoria dellasupersimmetria, ancora tutta da provare.
Via: Wired.it
Credits immagine: Ethan Hein/Flickr