Come dare a Facebook un cervello pensante

“Post che parlano d’amore”. Potrebbe essere questa, nel futuro, una delle query per Graph Search di Facebook, il motore di ricerca recentemente introdotto dall’azienda di Menlo Park per recuperare contenuti dagli enormi database del social network. E potrebbe davvero funzionare. Gli ingegneri di Facebook, infatti, si sono lanciati nella sfida dell’apprendimento profondo, la branca dell’intelligenza artificiale che permetterà alle macchine di comprendere sempre meglio il linguaggio e il comportamento umano. Gli sforzi dell’azienda sono “appena iniziati”, come ha detto a Wired.com un portavoce, ma “aumenteranno sempre più con il passare del tempo”.

C’è da dire che, finora, Graph Search ha funzionato abbastanza bene. Perché il motore si limitava a ricercare le connessioni tra persone ed entità (per esempio “foto in cui è taggato Tizio”). Ma, da qualche tempo, lo strumento è in grado anche di scansionare post e commenti. Ed è chiaro che, per farlo in modo davvero efficace, è indispensabile comprenderli appieno. Cioè, in sostanza, essere in grado di decifrare linguaggi ed espressioni umane e tradurle in linguaggio-macchina. Compito non facile, perché “gli esseri umani usano il linguaggio in modo diverso a seconda della propria educazione culturale”, spiega Oleg Rogynskyy, ceo dell’azienda di analisi testuale Semantria. “Attualmente non c’è modo di far capire a una macchina le sfumature derivanti dai diversi background di chi scrive. Sarà il problema più arduo da affrontare nei prossimi 10-15 anni”.

Gli informatici di aziende del calibro di Apple, Microsoft, Google e Ibm – e, per l’appunto, Facebook – si stanno dando molto da fare su questo versante. L’apprendimento profondo prevede lo sviluppo di reti neurali, programmi multistrato ispirati al vero cervello umano. Tali reti sono in grado di raccogliere informazioni e rispondere di conseguenza. Possono identificare un oggetto partendo dalla sua sagoma, riconoscere dei suoni e comprendere cosa significano parole e frasi senza alcuna necessità di aiuto umano. Il metodo è particolarmente utile per risolvere problemi connessi alla computer vision, al riconoscimento vocale, alla traduzione e all’elaborazione del linguaggio naturale; perché funzioni, è necessario avere una grande quantità di dati a disposizione. E, in effetti, i dati sono proprio quello di cui Facebook dispone a volontà.

Un primo passo per raggiungere l’obiettivo che si pone Rogynskyy è la costruzione di algoritmi in grado di discernere un particolare sentimento o opinione. Dopodiché, il modello si potrà raffinare, misurando anche la sfumatura o il grado del particolare sentimento o opinione individuato. Gli approcci attuali, che si basano sull’analisi di gruppi di parole, funzionano abbastanza bene a livello collettivo, ma falliscono spesso quando devono studiare un singolo messaggio. E questo non piace: “Se un sistema sbaglia un terzo delle volte”, racconta Eliot Turner, ceo di AlchemyAPI, azienda che usa l’apprendimento profondo per l’analisi dei sentimenti, “non c’è da fidarsi quando analizza un singolo tweet o post”.

Proprio per questo motivo, Facebook e gli altri stanno pensando di passare all’apprendimento profondo. Un approccio che, promettono, permetterà di migliorare la user experience, costruire ulteriore fidelizzazione e, naturalmente, vendere meglio la pubblicità. Che lo facciano pure. Ma, per favore, che non rivelino anche i nostri sentimenti all’Nsa.

Via: Wired.it

Credits immagine:  Spencer E Holtaway/Flickr

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