Una pillola per acquisire l’orecchio assoluto

È possibile migliorare l’apprendimento con una pillola? Le ricerche condotte alla British Columbia da un team internazionale di medici e psicologi dicono di sì. Almeno per quanto riguarda il cosiddetto orecchio assoluto, la capacità di identificare note musicali senza ascoltare suoni di riferimento. Gli scienziati, infatti, hanno mostrato che la somministrazione di un farmaco, l’acido valproico, riapre il periodo critico di apprendimento, quello in cui si è in grado di acquisire l’abilità di riconoscere le note.

Sulla base dei risultati ottenuti in studi condotti a partire dalla fine degli anni sessanta si è consolidata l’idea che l’orecchio assoluto non sia innato, ma piuttosto che a giocare un ruolo fondamentale sia l’educazione musicale compiuta in età precoce: fra i 4 e i 6 anni, infatti, gli esseri umani sono particolarmente predisposti all’acquisizione di questa capacità. È un’età caratterizzata da una spiccata plasticità sinaptica, cioè da una grande capacità di modificare le connessioni neuronali – le cosiddette sinapsi –, eliminandone alcune e instaurandone di nuove. Finora, tuttavia, si credeva che non fosse possibile acquisire l’orecchio assoluto una volta superato questo periodo critico.

Gli scienziati, come si legge su Frontiers in Systems Neuroscience, sono invece riusciti a mostrare che un farmaco può indurre l’abilità di distinguere le note anche in soggetti più in avanti con gli anni. Nel loro esperimento, i ricercatori hanno somministrato gradualmente dell’acido valproico ad alcuni volontari e poi hanno fatto loro ascoltare dodici toni musicali. Successivamente, i soggetti hanno effettuato degli esercizi di “allenamento” e infine un test di riconoscimento delle note, in cui hanno conseguito risultati migliori rispetto al gruppo di controllo che aveva assunto un placebo. Sebbene non sia ancora disponibile una descrizione dettagliata del meccanismo fisiologico alla base dell’effetto, secondo gli scienziati sarebbe dovuto al fatto che l’acido valproico funge da inibitore per un enzima, l’istone deacetilasi, un meccanismo che già in precedenti esperimenti sembrava apportare benefici nei topi affetti da ambliopia, un disturbo della vista.

La possibilità di agire farmacologicamente sulla plasticità sinaptica e migliorare così le risposte percettive e cognitive tramite l’allenamento, secondo gli scienziati, potrà trovare applicazioni nel trattamento delle malattie neuro-degenerative. E forse, in un prossimo futuro, con la combinazione giusta di farmaci e apprendimento potremo, come Eddie Morra in The Dark Fields, imparare nuove lingue in un lampo, trovare ispirazione per la scrittura, diventare geni della finanza. 

Riferimenti: Frontiers in Systems Neuroscience doi:10.3389/fnsys.2013.00102

Credits immagine: Prabhu B Doss/Flickr

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