“La matematica ha determinato la direzione e il contenuto di buona parte del pensiero filosofico, ha distrutto e ricostruito dottrine religiose, ha costituito il nerbo di teorie economiche e politiche, ha plasmato i principali stili pittorici, musicali, architettonici, ha procreato la nostra logica ed ha fornito le risposte migliori che abbiamo a domande fondamentali sulla natura dell’umanità e dell’universo… essendo una realizzazione umana incomparabilmente raffinata, offre soddisfazioni e valori estetici pari a quelli offerti da qualsiasi altro settore della nostra cultura.”
Parole scritte nel 1953 da Morris Kline nel libro La matematica nella cultura occidentale. Non ci sono dubbi che in questa era tecnologico-digitale la matematica abbia un grande ruolo, non solo come strumento e metodo di ricerca ma soprattutto un ruolo culturale primario, sia nella formazione che nell’evoluzione delle conoscenze e coscienze. Un ruolo culturale che tocca tutti i settori. Kline non ha citato (e in quell’anno non poteva farlo) la letteratura, il cinema, il teatro.
Negli ultimi venti anni sono stati scritti libri di grande interesse ed alcuni di grande successo sulla matematica, sui matematici. Si sono vinti premi Pulitzer per il teatro scrivendo storie per il palcoscenico con protagonisti i matematici. Si sono vinti Oscar per la sceneggiatura, per il miglior film. Sono state organizzate mostre, convegni, incontri in tutto il mondo per mettere in risalto i legami molto stretti tra la matematica e la cultura. Insomma la matematica è una forza culturale di primo piano, come scriveva Kline, della civiltà. Romanzi e racconti che parlano dei matematici si sono moltiplicati negli ultimi anni. E la storia nel cinema, nel teatro, nella letteratura continua. Come viene presentata la matematica, i matematici nella letteratura? Non è il caso di generalizzare ma piuttosto di analizzare degli esempi, dei libri pubblicati di recente in Italia.
Non ci sono dubbi che i matematici nei film sono spesso visti come delle persone non del tutto normali, quando non chiaramente come personaggi deliranti. Che possono arrivare addirittura al delitto. Ovvero possono essere geniali investigatori. Tutto falso? E’ altrettanto indubitabile che molti studi sono stati fatti sulla “genialità” dei matematici, sulla loro incapacità di relazionarsi con gli altri. Studi molto recenti hanno investigato il grado di autismo che sembra cogliere molti dei matematici, non tutti ovviamente e nemmeno la stragrande maggioranza di loro.
D’altra parte la genialità ha sempre un grande fascino. Insomma sempre lo stereotipo di genio e follia. Ne è un esempio il libro L’uomo che credeva di essere Riemann di Stefania Piazzino (Edizione e/o, 2014). Riemann è stato un famosissimo ed importante matematico tedesco del XIX secolo, uno di quelli che hanno cambiato il mondo della matematica. Il libro si apre con una dedica “A Filippo. Quando è nato, il Signore ha deciso che sarebbe stato un ragazzo autistico e non un matematico.”
Il protagonista della storia è un matematico che pensa di essere Riemann, Ernst Love, che si presenta così: “Ci sono tre valide argomentazioni che mi fanno supporre di non essere un matematico. La prima è che i migliori matematici sono morti prima di compiere quarant’anni. La seconda è che i veri matematici hanno scoperto almeno un teorema. La terza che odio il cricket. Un matematico non può che essere un buon matematico, altrimenti non lo è affatto”: A parte il cricket, le altre ragioni sono largamente condivise dai matematici. L’autrice del libro, che matematica non è, ha letto molti libri che parlano dei matematici, e riprende molte delle sue letture nel libro, per costruire il messaggio del famoso matematico messo in crisi dall’aver ricevuto la notizia della dimostrazione di una congettura di Riemann (per la dimostrazione della quale si riceve un premio di un milione di dollari, notizia del tutto vera).
Una peculiarità del lavoro di alcuni matematici è che si può lavorare per anni alla dimostrazione di un importante risultato e poi accorgersi che non si è riusciti. Non vi sono esperimenti da fare, risultati parziali da ottenere. E’ un vero fallimento della propria vita. Una delle cause delle nevrosi, quella che sembra abbia toccato anche John Nash di cui si parla nel film A Beautiful Mind.
Il professore Love diventa Riemann, e invece di curarlo, si cerca di far restare il malato nella mente di Riemann per arrivare alla dimostrazione che magari il matematico tedesco aveva intuito. Il motivo? L’ipotesi è legata ai numeri primi, decisivi nei problemi di criptazione (basti pensare a tutti i messaggi in rete, ai codici di sicurezza). Quindi ci sono in ballo molti soldi. Il medico che lo cura cerca di farlo tornare in sé, gli altri cercano di farlo restare Riemann.
Il libro parla di matematica, in modo molto semplice, di follia, di rapporto tra potere e pensiero, cultura, immaginazione. Per reggere, nel racconto si intrecciano episodi della vita di molti famosi matematici, una sorta di storia della matematica in pillole. Love-Riemann incontrerà un ragazzo appassionato di matematica che vuole dimostrare l’ipotesi di Riemann, “Quello che si chiama come lei”. Un libro interessante che forse doveva essere alleggerito delle molte divagazioni.