23 marzo-23 settembre: sei mesi. Tanto è passato da quando all’Organizzazione mondiale della sanità veniva data la notizia della presenza di un focolaio di ebola in Guinea. Da allora, quel focolaio si è tramutato nella peggiore epidemia della malattia della storia: oltre 5800 i contagi, 2803 le morti ufficiali (potrebbero essere infatti ben di più). Ma il bilancio rischia di peggiorare, come annunciano dalla stessa Oms in un report pubblicato sulle pagine del New England Journal of Medicine.
“Stimiamo che”, si legge sul paper: “al ritmo attuale di crescita, assumendo nessun cambiamento nella attività di controllo, il numero cumulativo di casi confermati e probabili al 2 di novembre sarà di 5740 in Guinea, di 9890 in Liberia, e di 5000 in Sierra Leone (i paesi più colpiti dal virus, nda), superiore a 20.000 casi in totale. La vera portata dell’epidemia, compresi i casi sospetti e casi non rilevati, sarà ancora più in alta”. Una crescita esponenziale, e che rischia di trasformare il disastro dell’epidemia in una vera e propria catastrofe, come racconta Christopher Dye, coautore dello studio: “La paura è che ebola diventi più o meno una caratteristica permanente della popolazione umana”.
Nel frattempo – mentre le strutture sanitarie sono al collasso, incapaci di ospitare tutti i malati, scarseggiano acqua, sapone, e il personale medico non è mai abbastanza – qualcosa però sembra muoversi nella lotta ad ebola (lasciando da parte i farmaci e i vaccini sperimentali). Appena la scorsa settimana gli Stati Uniti hanno annunciato un piano di aiuto per le zone colpite, progettando la costruzione di dozzine di centri medici in Lineria e l’invio di 3000 soldati nelle zone colpite, e stando a quanto riporta Fox News Gran Bretagna e Francia costruiranno nuovi centri per il trattamento dei malati in Sierra Leone e Guinea. Nel mentre continua il supporto della Banca Mondiale e dell’Unicef, così come di Medici senza frontiere (Msf), che ha appena lanciato anche una campagna di raccolta fondi (#stopebola, donazioni al 45507). Ma anche i governi dei paesi colpiti continuano a lottare contro il virus: la Sierra Leone, per esempio, ha appena concluso (con successo, secondo le autorità) i tre giorni di quarantena obbligata per la popolazione, nel tentativo di arrestare i contagi.
Azioni che nel complesso farebbero bene sperare, scongiurando le nere previsioni dell’Organizzazione mondiale della sanità, ma con estrema cautela. “Stiamo cominciando a vedere alcuni segni di risposta che ci danno la speranza che questo aumento dei casi non accadrà”, continua infatti Dye: “Ma dir questo è un po’ come fare previsioni meteorologiche. Possiamo farlo con un paio di giorni in anticipo, ma guardando a un paio di settimane o ai mesi a venire è molto difficile”.
Via: Wired.it
Credits immagine: unicefguinea/Flickr CC