Il cervello è più tonico se la mente è studiosa

    Se l’attività fisica fa bene alla salute e aiuta a mantenersi giovani, allo stesso modo allenare la mente aiuta il cervello a mantenersi giovane e a resistere meglio all’inevitabile degenerazione dei neuroni. I ricercatori dell’IRCCS Fondazione Santa Lucia di Roma sono riusciti a vedere e a quantificare, attraverso la risonanza magnetica, gli effetti positivi che lo studio ha sul nostro cervello, in particolar modo nell’ippocampo, quindi sulla memoria. Lo studio italiano, condotto da Fabrizio Piras (psicologo e ricercatore) e coordinato da Gianfranco Spalletta (responsabile del laboratorio di Neuropsichiatria) e Carlo Caltagirone (direttore scientifico di IRCCS Fondazione Santa Lucia), si è conquistato la copertina del numero di febbraio 2011 di Human Brain Mapping, la più importante tra le riviste internazionali sulle neuroimmagini.

    Esiste un’accreditata teoria, detta della riserva neuronale, secondo cui una persona con un livello di scolarizzazione più elevato (e che quindi nell’arco della vita svolge costantemente impegni mentali , al lavoro come negli svaghi) sviluppa una sorta di scorta cognitiva che protegge il cervello dai danni causati dal processo di invecchiamento, come ad esempio avviene per l’Alzheimer. L’allenamento mentale, quindi, permetterebbe di accumulare una piccola riserva (strutturale) che rallenterebbe il fenomeno fisiologico dell’erosione del tessuto cerebrale. La ricerca del Santa Lucia ha finalmente permesso di misurare quantitativamente questa riserva neuronale e a localizzare le aree del cervello in cui essa agisce.

    Lo studio è stato condotto su 150 soggetti sani di età compresa tra i 18 e i 65 anni, i quali si sono sottoposti ad un particolare tipo di risonanza magnetica, la Diffusion Tensor Immaging (DTI), che permette di misurare con estrema precisione le variazioni strutturali dei tessuti cerebrali. Uno dei parametri più significativi per l’esperimento è stato quello della mean diffusivity (MD), ossia la valutazione quantitativa dell’integrità tessutale attraverso la misurazione del movimento delle molecole d’acqua all’interno del cervello. È emerso che le persone con un livello di scolarizzazione più elevato hanno una struttura più compatta dell’ippocampo, una struttura che svolge un ruolo fondamentale nei processi di memoria a lungo termine e che è la prima a degradarsi nelle fasi iniziali dell’Alzheimer.

    Per fare maggiore chiarezza sul significato di questi dati, Fabrizio Piras, il ricercatore che ha condotto lo studio, ha acconsentito a rispondere a qualche domanda.

    Dottor Piras, è corretto dire che studiare, mantenere allenato il cervello, aiuta a creare una specie di riserva neuronale che ci protegge dalle malattie neurodegenerative?

    “Non è esattamente così. Il nostro studio non dimostra che le persone con un grado di scolarizzazione più alto sono, ad esempio, protette dall’Alzheimer più di altri: questa è soltanto una deduzione che si potrebbe fare alla luce dei dati raccolti. Quello che noi abbiamo visto è che, a parità di condizioni, ad esempio, una persona sana con una laurea ha una microstruttura dell’ippocampo più conservata rispetto ad una persona sana che, magari, ha concluso gli studi alla terza media. Questo migliore stato di “conservazione” dipende proprio da una maggiore compattezza strutturale che crea resistenza all’opera erosiva della degenerazione cellulare. Questa riserva si localizza proprio nell’ippocampo, una struttura a forma curva che si trova nella zona mediale del lobo temporale del cervello e svolge un ruolo importante nella memoria a lungo termine, che, ad esempio, nel morbo di Alzheimer è la prima a degradarsi.”

    La riserva neuronale sarebbe quindi una sorta di “cuscinetto” che attutisce gli effetti della neurodegenerazione?

    “Esatto. Mantenere allenato il cervello non protegge dalla degenerazione neuronale (quella è inevitabile!) ma, dallo studio effettuato, sembra che ritardi le manifestazioni cliniche della malattia. Ad esempio, si è visto come nelle persone con alto livello di scolarizzazione affette da Alzheimer, il periodo di tempo che intercorre tra la diagnosi e la morte è molto più breve, questo proprio in virtù della migliore resistenza dell’ippocampo e quindi ad un ritardo della manifestazione dei sintomi.”

    Nella parte finale dello studio viene citata anche l’importanza dell’attività fisica. Quindi anche il movimento fisico può ritardare gli effetti della neurodegenerazione?

    “Nello studio vengono citati altri lavori condotti nella fattispecie sugli effetti dell’attività motoria: è stato dimostrato che l’attività fisica aumenta la produzione di neuroni. L’esperimento è stato condotto solo su topi, sui quali è possibile contare il numero di neuroni prodotti. Le cavie sono state divise in due gruppi, il primo dei quali è stato inserito in gabbie non stimolanti (ossia dove non c’era possibilità di movimento) e il secondo, invece, in gabbie stimolanti (in cui i topi erano indotti a muoversi). È emerso che nel secondo gruppo di topini è stato prodotto un numero maggiore di neuroni nell’ippocampo, quella che viene definita neurogenesi. Nell’uomo, invece, è stato visto, attraverso dei test, che persone sportive (o che fanno molto movimento nella vita) hanno migliori capacità mnemoniche rispetto a persone sedentarie. Indubbiamente esiste una correlazione tra l’attività fisica e la produzione di neuroni.”

    Ovviamente non è tanto il titolo che rende in cervello più resistente alla degenerazione, quanto lo studio e l’impegno mentale quotidiano che ogni persona decide di affrontare nell’arco della vita.

    Credit immagine: Patrick Hoesly / Flickr

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