Nel dubbio, vige il principio di precauzione. Nel caso in particolare, ci riferiamo all‘epidemia del virus Zika nel centro e sud America, il rischio di malformazioni nel feto di donne che contraggono il virus ha spinto i governi locali a invitare le donne a non rimanere incinte per scongiurare il rischio di microcefalie nei nascituri e gli Usa a sconsigliare viaggi nelle zone interessate alle donne in attesa. Perché l’arrivo del virus nel nuovo continente è coinciso con un aumento del caso di microcefalie. Un aumento spaventoso limitandosi a leggere i numeri: oltre 4mila casi sospetti segnalati in Brasile dallo scorso ottobre contro una media annuale di circa 160. Finora però si tratta di una correlazione che, come ribadito in seguito alla conferenza dell’Oms sul caso da Bruce Aylward, non implica necessariamente una relazione causale tra le infezioni di Zika e la microcefalia (anche se “fortemente sospettata”), così come per i sospetti casi della sindrome di Guillain-Barré.
Oggi a invitare alla cautela in merito al collegamento tra le due condizioni è anche il report diffuso da Jorge Lopez-Camelo e Ieda Maria Orioli del Latin American Collaborative Study of Congenital Malformations (Eclamc). Sostanzialmente, avvertono i ricercatori, è ancora troppa l’incertezza su Zika e il legame con la microcefalia. In primo luogo lo stesso rilevamento dei casi di microcefalia – in parte potrebbe essere dovuto a un aumento dei casi riportati in seguito al lancio dell’allarme, come avviene in situazioni del genere, a causa del cosiddetto “effetto consapevolezza”, riassume Nature. Un fenomeno che porta all’aumento di casi che normalmente passerebbero inosservati. In aggiunta a questo, il problema dell’aumento dei casi di microcefalia potrebbe essere dovuto anche a criteri diagnostici alquanto ampi e quindi a un eccesso di diagnosi. Non sempre infatti, precisano inoltre gli autori del report, la microcefalia è una malformazione di semplice identificazione. Gli ultimi dati epidemiologici diffusi d’altronde non lo farebbero escludere. Dei 4180 casi sospetti finora 270 sono quelli confermati e 462 quelli esclusi.
Per rispondere alla questione, così come suggerito da altri ricercatori, potrebbero essere d’aiuto grandi studi prospettici che analizzino l’incidenza di microcefalie nei nati da donne in aree interessate dal virus. D’aiuto saranno poi certamente una definizione più precisa di microcefalia (così come l’adozione di test per identificare eventuali cause genetiche della condizione) e l’identificazione delle reali zone di circolazione del virus, non sempre facile anche a causa della copresenza con patogeni simili, come quello della Dengue.
Ciò non toglie che, nel clima di incertezza, resti valido il principio di precauzione per la maggior parte degli esperti. Anche perché, per alcuni l’aumento dei casi di microcefalie in concomitanza alle infezioni del virus sarebbe innegabile e cominciato già prima che la questione avesse un così ampio riscontro mediatico. Per altri inoltre, come precisa a Nature Thomas Jaenisch dell’Heidelberg University Hospital, posizioni così estreme come quelle degli esperti dell’Eclamc rischiano di creare ancora più confusione nei media.
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Credits immagine: Bianca de Blok/Flickr CC