Gli animali che secondo i parametri estetici umani sono brutti, hanno meno possibilità di essere studiati da etologi e naturalisti. Lo afferma una ricerca pubblicata su Mammal Review che riferisce l’esistenza di questo fenomeno, almeno per quanto riguarda la fauna australiana. Insomma, teneri koala e curiosi canguri ricevono più attenzioni di roditori dall’aspetto sgraziato e pipistrelli assai poco carini. Il rischio per animali meno belli non è solo quello di perdere l’occasione di apparire su copertine e documentari ma anche quello di correre maggiori rischi di sopravvivenza della propria specie.
“Una volta che una specie viene categorizzata come ‘brutta’”, spiega Trish Fleming, la biologa della Murdoch University di Perth che ha firmato lo studio, “è quasi sicuro che in letteratura finiscano davvero poche pagine a loro riguardo. Comprendere meno questi animali vuol dire anche e soprattutto conoscere peggio le loro abitudini e la loro interazione con l’ecosistema. Questo li rende più vulnerabili dal momento che non possiamo conoscere a fondo in che modo l’azione umana sull’ambiente possa impattare su di loro. Per un numero ancora troppo grande di specie animali, non siamo stati in grado di fare molto altro se non, semplicemente, registrare la loro esistenza”.
La distribuzione del lavoro degli scienziati, insomma, dovrebbe essere più uniforme ed estendersi a tutti gli aspetti della vita di tutte le specie. “Dovremmo”, ha aggiunto Fleming, “documentarci molto più a fondo per identificare con precisione le minacce che gravano sulle specie ‘brutte’ e scegliere al meglio le strategie da mettere in campo”. Un cambio di approccio appare indispensabile dal momento che, come confermato dai ricercatori di Perth, dall’insediamento degli europei in Australia, 20 delle specie di mammiferi locali si sono già estinte e altrettante sono a rischio per il futuro.
Riferimenti: Mammal Review DOI: 10.1111/mam.12066
Credits immagine: Michael Pennay/Flickr CC